La normale diligenza o del buon padre di famiglia è menzionata genericamente nell’art.1176 codice civile, che così dispone: “Nell’adempiere l’obbligazione il debitore deve usare la diligenza del buon padre di famiglia. Nell’adempimento delle obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell’attività esercitata.”

La sua collocazione, all’interno della disciplina che regola l’adempimento delle obbligazioni, non deve far pensare che tale nozione sia applicabile solo in questa materia. Il concetto di normale diligenza, infatti, con i dovuti adattamenti, previsti in base al tipo di attività interessata, è applicabile a moltissimi settori. La relazione al codice civile precisa che quanto disposto dall’art.1681 c.c., che prevede la responsabilità del vettore per i sinistri che colpiscono il viaggiatore o le cose trasportate, se non prova di aver adottato tutte le misure atte a evitare il danno, è applicabile anche alle attività pericolose di cui all’art.2050 c.c., che ricomprende l’art.2054 c.c., che disciplina la circolazione di veicoli “rispetto alle quali importa conoscere esclusivamente la concreta possibilità di evitare la lesione della sfera altrui. Contenuto della prova liberatoria della responsabilità non può essere, in tali casi, se non la dimostrazione dell’adempimento del dovere di impedire che, all’interno dell’attività stessa, derivi danno per gli altri. La diligenza del soggetto deve essere, nelle ipotesi in parola, valutata con rigore, perché chi esercita attività pericolose ha la possibilità di prevedere l’evento dannoso ed è nella condizione più favorevole per adottare ogni misura possibile di cautela.”.

Per effetto di tali considerazioni, va da se che in materia di circolazione stradale, per normale diligenza deve intendersi quella necessaria a evitare che derivi danno ad altri, ma anche a se stessi. Si tratta della diligenza richiesta all’uomo medio, che nell’attendere a una certa attività deve prestare tutte quelle cure e attenzioni necessarie a portarla a termine, senza che la stessa si riveli dannosa. Diligenza richiesta anche nei casi rientranti nella disciplina dell’art.2051 c.c., considerato che la responsabilità oggettiva del custode non esime chi viene a contatto con la cosa in custodia, di usarla, adottando le dovute cautele e attenzioni.

Giurisprudenza:

– Cass. civ. n.4479/2013 “va rammentato che questa corte di legittimità ha statuito che “l’obbligo di eliminare la fonte di pericolo su una pubblica via o di apprestare adeguate protezioni, ripari, cautele ed opportune segnalazioni sorge nel momento in cui la strada presenti situazioni tali da costituire un’insidia o un trabocchetto per gli utenti, sicché venga a costituire una fonte di pericolo inevitabile con l’uso della normale diligenza; invece, qualora adottando la normale diligenza che si richiede a chi usi una strada pubblica, la situazione di pericolo sia conoscibile e superabile, la causazione di un eventuale infortunio non può che far capo esclusivamente e direttamente a chi non abbia adottato la diligenza imposta (Cass.civ. n.31302/2005; Cass.civ. n.32970/2004. Il sancito principio mira ad armonizzare l’esigenza della garanzia di sicurezza, con la impossibilità di esigere sempre e comunque l’adempimento di oneri che per P.A. difficili da realizzare in ragione dell’ampiezza della cura del territorio affidatole, limitando pertanto l’adempimento ai soli casi in cui la fonte di pericolo non sia percepibile con la normale diligenza.”;

– Cass civ. n.12681/2016 “Si rileva sul punto che l’insidia costituisce fonte di pericolo inevitabile con l’uso della normale diligenza, invece, qualora adottando la normale diligenza che si richiede a chi usi una strada pubblica la situazione di pericolo sia conoscibile e superabile, la causazione di un eventuale infortunio non può che far capo esclusivamente e direttamente a chi non abbia adottato la diligenza imposta (così, Cass. civ. n.32970/2004 ; Cass. civ. n.31302/2005): nel caso in esame va pertanto condivisa la valutazione dei giudici di merito che hanno escluso che la condotta del (omissis) abbia costituito una causa concorrente dell’evento, ponendosi come condizione necessaria antecedente, proprio perché si trattava di un ingombro parziale della carreggiata assolutamente e tempestivamente avvistabile e come tale non costituente insidia per il conducente della motoape, che aveva tutta la possibilità di arrestare la marcia ed impegnare l’opposta corsia solo dopo essersi accertato che fosse libera.”;

– Cass. civ. n.2481/2018: “Tanto in ipotesi di responsabilità per cose in custodia ex art.2051 cod. civ., quanto in ipotesi di responsabilità ex art.2043 cod. civ., il comportamento colposo del danneggiato (che sussiste quando egli abbia usato un bene senza la normale diligenza o con affidamento soggettivo anomalo) può – in base ad un ordine crescente di gravità – o atteggiarsi a concorso causale colposo (valutabile ai sensi dell’art.1227 cod. civ., comma 1), ovvero escludere il nesso causale tra cosa e danno e, con esso, la responsabilità del custode (integrando gli estremi del caso fortuito rilevante a norma dell’art.2051 cod. civ.). In particolare, quanto più la situazione di possibile pericolo è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione delle normali cautele da parte dello stesso danneggiato, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso (espressamente in tali termini: Cass.civ. n.9009/2015; in precedenza, peraltro, già Cass. 10300/07). In altri termini, se è vero che il riconoscimento della natura oggettiva del criterio di imputazione della responsabilità si fonda sul dovere di precauzione imposto al titolare della signoria sulla cosa custodita in funzione di prevenzione dai danni prevedibili a chi con quella entri in contatto (Cass.civ. n.23584/2013), è altrettanto vero che l’imposizione di un dovere di cautela in capo a chi entri in contatto con la cosa risponde anch’essa a criteri di ragionevole probabilità e quindi di causalità adeguata. Tale dovere di cautela corrisponde già alla previsione codicistica della limitazione del risarcimento in ragione di un concorso del proprio fatto colposo e può ricondursi – se non all’ormai non più in auge principio di auto responsabilità – almeno ad un dovere di solidarietà, imposto dall’art.2 Cost., di adozione di condotte idonee a limitare entro limiti di ragionevolezza gli aggravi per gli altri in nome della reciprocità degli obblighi derivanti dalla convivenza civile, in adeguata regolazione della propria condotta in rapporto alle diverse contingenze nelle quali si venga a contatto con la cosa.”.