Il consenso informato rappresenta l’espressione della consapevole adesione del paziente a un qualsiasi trattamento sanitario proposto dal medico. Si configura quale vero e proprio diritto della persona, tutelato dalla Costituzione, in virtù del principio secondo cui nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge.

In sostanza, il consenso informato è il presupposto di legittimità del trattamento, in mancanza del quale, l’intervento del medico è sicuramente illecito, anche laddove effettuato nell’interesse del paziente (cfr. Cass.civ. n.11749/2018).

Il medico ha il dovere, dunque, di informare il paziente in ordine alla natura del trattamento (sia esso un intervento, una terapia, ecc.) nonché in ordine alla portata dei risultati conseguibili, degli effetti benefici, delle implicazioni verificabili e delle prevedibili conseguenze e rischi dello stesso.

Deve trattarsi di informazioni chiare, complete e facilmente comprensibili dall’interlocutore, il quale deve poter acconsentire con piena consapevolezza.

Il consenso, inoltre, deve caratterizzarsi per il requisito dell’attualità. Nell’ipotesi in cui vi siano variazioni delle circostanze di fatto, il medico è obbligato ad informare nuovamente il paziente e a riceverne di nuovo il consenso informato.

Il paziente, peraltro, è sempre libero di modificare la propria volontà iniziale, negando, variando o revocando il consenso inizialmente prestato.

La violazione dell’obbligo di acquisire il consenso informato rappresenta una lesione del diritto fondamentale all’autodeterminazione del soggetto dalla quale deriva un danno autonomamente risarcibile, “costituito dalla sofferenza e dalla contrazione della libertà di disporre di sé stesso psichicamente e fisicamente – che non necessita di una specifica prova, salva la possibilità di contestazione della controparte e di allegazione e prova, da parte del paziente, di fatti a sé ancora più favorevoli di cui intenda giovarsi a fini risarcitori” (Cass.civ. n.11749/2018).

Giurisprudenza:

– Cassazione civile n.10608/2018 “La violazione del dovere del medico di informare preventivamente e chiaramente il paziente può comportare il danno alla salute, oppure il danno al diritto all’autodeterminazione. In particolare, nel caso di omessa informazione circa un intervento, necessario e correttamente eseguito, che non ha causato danno alla salute del paziente, il risarcimento del danno al diritto all’autodeterminazione, in via equitativa, è subordinato alla prova che il paziente abbia subìto le inaspettate conseguenze senza la necessaria consapevolezza; il danno deve superare il limite della normale tollerabilità. La prova del danno potrà essere fondata anche su presunzioni fondate, in un rapporto di proporzionalità inversa, sulla gravità delle condizioni di salute del paziente e sul grado di necessarietà dell’operazione”;

– Cassazione civile n.26728/2018 “In tema di omessa acquisizione del consenso medico informato, qualora risulti accertato, con riferimento alla sottoposizione di uno tra due coniugi ad intervento chirurgico, un peggioramento della salute inerente la sfera sessuale, rientrante nel rischio dell’intervento, sebbene non imputabile a cattiva esecuzione dello stesso, l’altro coniuge che risenta in via immediata o riflessa del danno, in quanto incidente sulla sfera relazionale e sulla vita di coppia, ha diritto al risarcimento del danno che sia conseguenza della condotta di violazione della regola del consenso informato in danno del paziente”;

– Cassazione civile n.19199/2018 “In materia di responsabilità sanitaria, l’inadempimento dell’obbligo di acquisire il consenso informato del paziente assume diversa rilevanza causale a seconda che sia dedotta la violazione del diritto all’autodeterminazione o la lesione del diritto alla salute posto che, se nel primo caso l’omessa o insufficiente informazione preventiva evidenzia ex se una relazione causale diretta con la compromissione dell’interesse all’autonoma valutazione dei rischi e dei benefici del trattamento sanitario, nel secondo l’incidenza eziologica del deficit informativo sul risultato pregiudizievole dell’atto terapeutico correttamente eseguito dipende dall’opzione che il paziente avrebbe esercitato se fosse stato adeguatamente informato ed è configurabile soltanto in caso di presunto dissenso, con la conseguenza che l’allegazione dei fatti dimostrativi di tale scelta costituisce parte integrante dell’onere della prova – che, in applicazione del criterio generale di cui all’art. 2697 c.c., grava sul danneggiato – del nesso eziologico tra inadempimento ed evento dannoso. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito con la quale era stata respinta la domanda di risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale sul presupposto che non solo gli attori non avevano allegato il presunto dissenso del congiunto, ma dalle risultanze istruttorie erano emersi elementi, come l’assenza di soluzioni terapeutiche alternative e il fatto che in precedenza il paziente si era sottoposto ad interventi analoghi, che deponevano per la presunzione di consenso al trattamento sanitario)”.