Il diritto di surroga dell’assicuratore sociale è la possibilità riconosciuta a quest’ultimo di rivalersi direttamente sull’impresa assicuratrice del responsabile civile per ottenere il rimborso delle spese sostenute per le prestazioni erogate al danneggiato-assistito. Tale diritto è previsto in via generale dall’art.1916, comma 1 c.c. (“L’assicuratore che ha pagato l’indennità è surrogato, fino alla concorrenza dell’ammontare di essa, nei diritti dell’assicurato verso i terzi responsabili”).

L’art.142 del Codice delle Assicurazioni, all’uopo, pone in capo all’assicurazione, prima di procedere alla liquidazione del danno, l’onere di richiedere al danneggiato una dichiarazione attestante che lo stesso assicurato-danneggiato non ha diritto ad alcuna prestazione da parte di istituti che gestiscono assicurazioni sociali obbligatorie. Nel caso in cui nella propria dichiarazione il danneggiato indichi di avere diritto alle prestazioni da parte dell’assicuratore sociale, l’impresa assicuratrice deve informare l’ente competente (es. INPS o INAIL) e, prima di liquidare il danno, deve accantonare la somma spettante al medesimo assicuratore sociale. Una volta ricevuta la dichiarazione, l’assicuratore sociale ha 45 giorni per dichiarare di volersi surrogare; in caso di inutile decorso del tempo o dichiarazione negativa, l’impresa assicuratrice RCA può procedere alla liquidazione definitiva del danno in favore del danneggiato.

In applicazione del più generale principio sancito dall’art.1916, comma 3 c.c., secondo cui l’assicurato è responsabile verso l’assicuratore del pregiudizio arrecato al diritto di surrogazione, l’art.142, terzo comma cod. ass. stabilisce che “l’ente di assicurazione sociale ha diritto di ripetere dal danneggiato le somme corrispondenti agli oneri sostenuti se il comportamento del danneggiato abbia pregiudicato l’azione di surrogazione”, come accade, ad esempio, nel caso di dichiarazione mendace dell’assicurato. All’infuori di questa ipotesi, l’ente gestore dell’assicurazione sociale può recuperare dall’assicuratore RCA l’importo versato per le prestazioni a beneficio dell’assistito soltanto se ciò non pregiudica il diritto dello stesso assistito al risarcimento dei danni alla persona non altrimenti risarciti, ovvero i danni che non sono stati soddisfatti nonostante l’intervento dell’ente.

Per comprendere meglio la portata del comma quarto dell’art.142 cod. ass. si deve partire dal presupposto che il danneggiato potrà pretendere dall’assicuratore r.c.a. e dal danneggiante l’integrale risarcimento del danno alla propria persona, anche pregiudicando l’eventuale credito dell’assicuratore sociale, solo quando non possa essere risarcito in altro modo. Al contrario, se il danneggiato viene indennizzato dall’assicuratore sociale, quest’ultimo avrà il diritto di surrogarsi, in tutto o in parte in relazione all’importo pagato, verso l’assicuratore r.c.a. e il danneggiante.

Diversi sono gli orientamenti della giurisprudenza sul c.d. “calcolo del danno differenziale” e cioè quali indennizzi erogati dall’assicuratore sociale devono essere scomputati dal risarcimento del danno e come.

Giurisprudenza:

– Cass.Civ. n.30857/2017 “Occorre rammentare che per danno differenziale deve intendersi quella parte di risarcimento che eccede l’importo dell’indennizzo dovuto in base all’assicurazione obbligatoria e che resta a carico del datore di lavoro ove il fatto costituisca reato perseguibile d’ufficio. Si tratta di un danno che, pur rientrando nel tipo già considerato dall’assicurazione obbligatoria in ragione del carattere indennitario di questa, può presentare delle differenze di valore monetario rispetto al danno civilistico per la diversa valutazione del grado di inabilità in sede INAIL rispetto a quella operata nel diritto comune, dove il grado di invalidità permanente viene determinato con criteri non imposti dalla legge ma elaborati dalla scienza medico legale, oltre che per il diverso valore del punto di inabilità (cfr. Cass. civ. n.9166/2017 …..). Va del pari rammentato che nel calcolo del danno biologico differenziale dall’ammontare complessivo del danno biologico deve essere detratto il valore capitale della quota della rendita costituita dall’INAIL destinata a ristorare il danno biologico. Nel sistema assicurativo INAIL delineato con il d.lgs. n.38 del 2000, art. 13, il danno biologico è pacificamente compreso nell’indennizzo e, conseguentemente, per tale voce di danno il datore di lavoro è esonerato da responsabilità civile ( Cassazione civile sez. lav., 29 gennaio 2002, n. 1114). Con il decreto legislativo n. 38 del 2000 sono stati innovati i criteri di determinazione dell’indennizzo per invalidità permanente. I danni vengono valutati in base ad una specifica “tabella delle menomazioni” comprensiva degli aspetti dinamico-relazionali prevista dallo stesso testo normativo e successivamente approvata con D.M. del Ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale del 12 luglio 2000 ( pubblicato nella G.U. del 25 luglio 2000). I postumi dell’infortunio o della malattia, se inferiori al 6% sono in franchigia, non danno diritto ad indennizzo e possono essere eventualmente cumulati con menomazioni provocate da altri eventi infortunistici o malattie professionali. Ove compresi tra il 6% e il 15% vengono considerati danno biologico ed indennizzati in capitale. Se determinano menomazioni dal 16% al 100°AD danno luogo all’ erogazione di una rendita, nella misura indicata nell’apposita “tabella indennizzo danno biologico”, di cui allo stesso D.M. 12 luglio 2000. Un’ulteriore quota di rendita è poi commisurata al grado della menomazione, alla retribuzione dell’assicurato e al coefficiente di cui all’apposita “tabella dei coefficienti”. L’articolo 13 del d. Igs. n. 38/2000, comma due lettera b) dispone che tali coefficienti “costituiscono indici di determinazione della percentuale di retribuzione da prendere in riferimento per l’indennizzo delle conseguenze patrimoniali, in relazione alla categoria di attività lavorativa di appartenenza dell’assicurato e alla ricollocabilità dello stesso”. Nel caso di menomazione indennizzata in rendita, dunque, una quota della rendita indennizza il danno biologico e un’ulteriore quota, rapportata alla retribuzione dell’assicurato ed alla sua capacità lavorativa specifica, indennizza il danno patrimoniale. La liquidazione delle due poste è distinta e deriva dalla applicazione di tabelle diverse: la “tabella indennizzo danno biologico” per il danno biologico e la “tabella dei coefricienti” per il danno patrimoniale. In sostanza l’ indennizzo in forma di rendita “ha veste unitaria ma duplice contenuto”: con quell’indennizzo, infatti, l’INAIL compensa sia il danno biologico, sia il danno patrimoniale da perdita della capacità di lavoro e di guadagno (cfr. Cass. 26/06/2015 n.13222). ………….. ritiene la Corte che sia conseguente affermare che ai fini della liquidazione del danno c.d. differenziale dall’importo del danno non patrimoniale/biologico debba essere detratto quanto eventualmente indennizzato dall’INAIL alla lavoratrice per le conseguenze non patrimoniali dell’infortunio. A diverse conclusioni si deve pervenire invece per quanto concerne la rendita erogata dall’Inail ai superstiti. Come recentemente affermato da questa Corte, infatti, “la rendita ai superstiti erogata dall’INAIL, anche successivamente alle modifiche introdotte con il d.lgs. n. 38 del 2000, costituisce una prestazione autonoma all’interno del sistema assicurativo obbligatorio, sicché va considerata fuori dall’ambito di applicabilità dell’art. 13 del medesimo d.lgs. che ha esteso la copertura assicurativa alla componente di danno biologico; la posizione specifica e differenziata dei superstiti, rafforzata dall’art. 73 del d.lgs. predetto e dall’art. 1, comma 130, della I. n. 147 del 2013, rende conforme al canone di razionalità di cui all’art. 3 Cost. la scelta del legislatore di attrarre il danno biologico all’interno dell’oggetto dell’assicurazione con riferimento alla prestazione del solo assicurato, lasciando all’area esterna del diritto civile la tutela dei diritti risarcitori degli eredi.” (cfr. Cass. 10/04/2017 n. 9166). Nel caso in esame la Corte di merito, discostandosi dai principi su esposti ed incorrendo nel vizio motivazionale denunciato, nel liquidare il danno c.d. differenziale non ha tenuto conto della componente del danno biologico della rendita liquidata alla lavoratrice seppure erogata in concreto agli eredi.”

– Cass.Civ. n.17407/2016 “La necessità di spendere del denaro per curarsi, e l’impossibilità di lavorare durante la malattia e la convalescenza, costituiscono per la vittima pregiudizi effettivamente patiti, dai quali essa viene tenuta indenne dall’intervento dell’assicuratore sociale. Trattandosi di pregiudizi effettivamente patiti, essi fanno (teoricamente) sorgere in capo alla vittima un credito risarcitorio, che per effetto della surrogazione si trasferisce all’Inail e che quest’ultimo potrà azionare nei confronti del responsabile, a nulla rilevando ovviamente che quest’ultimo debba già risarcire la vittima per intero del danno biologico.”;

– Cass.Civ. n.14941/2012 “[…] questa Corte, anche di recente, ha ribadito il principio secondo cui, in tema di recupero delle prestazioni previdenziali ed assistenziali erogate al danneggiato a seguito di sinistro stradale, all’ente gestore dell’assicurazione sociale spetta la scelta di agire in surrogatoria nei confronti del terzo responsabile del danno ai sensi dell’art.1916 cod. civ., ovvero, in alternativa, di esperire l’azione diretta, ai sensi dell’art. 28 della legge 24 dicembre 1969, n. 990, nei confronti dell’assicuratore della responsabilità civile di detto terzo responsabile, giacché i due rimedi, che attribuiscono il diritto di successione nel credito rispetto a due diversi soggetti obbligati, non risultano tra loro incompatibili.”;

– Cass.Civ. n.604/2003 “la manifestazione della volontà di surrogarsi incontra l’unico limite temporale della liquidazione definitiva del danno; ne consegue che, non distinguendo la legge tra liquidazione giudiziale e stragiudiziale del danno, il danneggiato perde la legittimazione ad agire per la parte di risarcimento per cui l’istituto ha dichiarato di volersi surrogare, anche se l’istituto manifesti la propria volontà di surroga quando il giudizio è già in corso.”.