“Il danno da fatto illecito forma l’oggetto d’una obbligazione di valore, cioè di un debito che, al momento in cui nasce, non è predeterminato in una somma di denaro, né è monetizzabile con un criterio oggettivo.
Il risarcimento del danno ha lo scopo di riprodurre la condizione patrimoniale in cui si sarebbe trovato il danneggiato, se il fatto illecito non si fosse verificato (art.1223 c.c.).
Se il danno è consistito nella perdita d’un bene suscettibile di valutazione economica, il ripristino delle condizioni prima dell’evento e quindi delle relative condizioni patrimoniali del danneggiato dovrà dunque avvenire sostituendo la perdita del bene con un importo monetario che esprima il controvalore del bene perduto non al momento del danno, ma al momento della liquidazione.
La liquidazione del danno pertanto, ove non avvenga direttamente con valori monetari riferibili all’epoca della liquidazione, si articolerà nelle due fasi della individuazione del valore del bene perduto all’epoca del danno stimato e nella successiva attualizzazione di quel valore, per renderlo coerente col potere d’acquisto della moneta all’epoca della liquidazione.”
Da questi principi, ribaditi da Cass. civ. n.15856/2019, in conformità a quanto già stabilito da Cass. civ. n.9361/2005, Cass. civ. n.3125/1990, Cass. civ. n.2830/1986 e Cass. civ. n.659/1961, la S.C. ha osservato che la rivalutazione del credito risarcitorio, però, non esaurisce le operazioni di liquidazione del danno da fatto illecito quando la liquidazione del danno avvenga a distanza di tempo dall’evento dannoso e, pertanto, può spettare al creditore, oltre il capitale rivalutato, anche l’ulteriore pregiudizio rappresentato dagli effetti della mora, come si desume dal testo dell’art.1219 c.c. .
Seppur la legge non detta norme specifiche per la stima del danno da mora, nel caso di ritardato adempimento delle obbligazioni di valore, i suoi effetti sono stati individuati dalla giurisprudenza.
Già da tempo, la S.C., ha stabilito che il ritardato adempimento dell’obbligo di pagamento del danno, causa al creditore/danneggiato un pregiudizio ulteriore e diverso rispetto alla perdita primaria che consiste nella perduta possibilità di investire la somma dovutagli a titolo di risarcimento (somma che, ai sensi dell’art.1219 c.c., deve essergli pagata dal giorno dell’illecito).
Pertanto, chi deve liquidare il danno (il debitore di una obbligazione di valore) è in mora e dal giorno dell’illecito è tenuto a pagare al creditore (danneggiato) il lucro cessante finanziario cioè i frutti che il denaro dovuto a titolo di risarcimento avrebbe prodotto sin dal giorno del sinistro, in caso di tempestivo pagamento.
La liquidazione di questo danno, non potendo avvenire se non in via equitativa ex art.1226 c.c., può teoricamente avvenire in molti modi: a forfait, in percentuale o in misura fissa. La liquidazione più diffusa e certamente più equa consiste nel ricorso ad un saggio di interesse e quando viene effettuata sotto forma di interessi, il giudice che compie la liquidazione ha la necessità di individuare i tre necessari parametri di questo tipo di calcolo: la periodicità, il saggio e la base di calcolo.
In base a questi tre parametri è stato stabilito, da tempo, dalle Sezioni Unite (Cass. civ. n.1712/1995) che:
“(a) la periodicità è sempre annuale;
(b) il saggio va scelto in via equitativa dal giudice, in base alle circostanze del caso concreto, tra le quali la più importante sarà l’entità del capitale (ovvio essendo che maggiore è il credito non tempestivamente adempiuto, più elevato sarà il lucro finanziario perduto dal creditore);
(c) la base di calcolo, infine può essere determinata in due modi: o applicando il saggio sub (b), per ciascun anno di mora, sul capitale espresso in moneta di quell’anno, previa l’opportuna devalutazione; oppure applicandolo su un valore medio, dato dalla semisomma del credito espresso in moneta attuale e del credito espresso in moneta devalutata alla data del sinistro.”.
Se vi fossero, infine, somme già versate, queste saranno considerate come acconti sul maggior importo dovuto ed andranno defalcate da quest’ultimo con i criteri stabiliti da Cass. civ. n.9950/2017 e cioè:
“a) devalutando l’acconto ed il credito alla data dell’illecito;
b) detraendo l’acconto dal credito;
c) calcolando gli interessi compensativi — nella specie — al saggio legale, applicato prima sull’intero capitale, rivalutato anno per anno, per il periodo intercorso dalla data dell’illecito al pagamento dell’acconto, e poi sulla somma che residua dopo la detrazione dell’acconto, rivalutata annualmente, per il periodo che va da quel pagamento fino alla liquidazione definitiva. “.