Come previsto dalla Legge 25 agosto 1991, n.287, art.5, l’attività di ristorazione consiste nella “somministrazione di pasti e di bevande”.
L’art.128 del Codice del consumo equipara al contratto di vendita tutti i contratti a titolo oneroso con i quali il produttore si impegna a procurare al consumatore la disponibilità di un bene di consumo, per cui:
– il Venditore è: “qualsiasi persona fisica o giuridica pubblica o privata che, nell’esercizio della propria attività imprenditoriale o professionale, utilizza i contratti di cui al comma 1” (art.128, comma 2, lett. b, Codice del consumo);
– il Consumatore è : “[…] la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta” (art. 3 Codice del consumo).
Di fatto, il contratto di ristorazione si instaura con la c.d. “comanda” (ordine del cliente) ed il ristoratore si impegna a servire a tavola prodotti conformi a quanto stabilito non solo dal menù ma, anche, in termini di qualità come previsto dagli artt.129 e 130 cod. cons. .

Le responsabilità per la somministrazione di cibi e bevande

In caso di alimenti scadenti ovvero avariati, il Consumatore ha diritto alla sostituzione della pietanza o alla riduzione del prezzo oppure, alla risoluzione del contratto di ristorazione. In tale senso, il cliente dovrà segnalare l’inadempienza del ristoratore dimostrando l’esistenza del contratto e dall’altra il ristoratore dovrà dimostrare, per esimersi da responsabilità, che l’inadempimento nei confronti del cliente è stata causata da un fattore a lui non imputabile (es.allergie non dichiarate dal cliente, etc.) ex artt.2697 e 1218 cod. civ..
Qualora, il Consumatore, invece, dovesse subire lesioni personali da ingestione di alimenti, dovrà dimostrare il danno (es. scontrino o fattura, referti del medico e/o dell’ospedale, etc.) e il nesso causale (alimento ingerito e danno subito, mentre il gestore del ristorante risponderà per responsabilità extracontrattuale (art.2043 c.c.).
Seppur la Cassazione Civile non considera il ristoratore un mero distributore commerciale di cibi e bevande, la trasformazione dei cibi non può prescindere dalla qualità degli stessi.
Come ricordato da Cass. civ. n.7449/2019 : “ con il Regolamento CE 882/04 (d.lgs. attuativo n.194/2008) , ……. “I mangimi e gli alimenti devono essere sicuri e sani. La normativa comunitaria comprende una serie di norme per garantire il raggiungimento di tale obiettivo. Queste regole interessano anche la produzione e la commercializzazione dei mangimi e degli alimenti”, per poi chiarire (Considerando 4) che: “La normativa comunitaria in materia di mangimi e di alimenti si basa sul principio che gli operatori delsettore dei mangimi e degli alimenti, in tutte le fasi della produzione, trasformazione e distribuzione nell’ambito delle aziende sotto il loro controllo sono responsabili di assicurare che i mangimi e gli alimenti soddisfino i requisiti della normativa sui mangimi e sugli alimenti aventi rilevanza per le loro attività”. …. E’ dunque evidente come la disciplina comunitaria si riferisca – con indistinto riguardo all’intera disciplina UE di tutela alimentare – a tutti gli operatori del settore responsabili della sicurezza e sanità dei prodotti agroalimentari rientranti nell’oggetto della loro attività; sia questa (a monte) di coltivazione e produzione, sia (a valle) di collocamento sul mercato. In tal senso è esplicita la previsione regolamentare secondo cui le norme di sicurezza interessano non soltanto la produzione dei mangimi e degli alimenti, ma anche la loro “commercializzazione”; e così pure quella secondo cui tale disciplina deve riguardare non solo le fasi della produzione e trasformazione, ma anche quella della “distribuzione”. In tal modo, la disciplina comunitaria si rivolge all’intera filiera agroalimentare, anche oltre la fase d’origine e provenienza dei prodotti.
In caso di intossicazione alimentare al ristorante il D.P.R. n.224/1988 in attuazione della Direttiva CEE n.851374 definisce il “cibo avariato” come prodotto difettoso (art.130 cod. cons.).

Le responsabilità per il danneggiamento o sottrazione di cose del cliente

Le altre responsabilità del ristoratore attengono, anche, il deterioramento, la distruzione o la sottrazione di cose portate dal cliente nel ristorante con l’applicazione delle norme di cui agli artt.1783 e ss. del codice civile che disciplinano la responsabilità dell’albergatore e che vengono estese (dall’art.1786 c.c.) anche ad altre categorie di imprenditori. Gli obblighi che incombono sul ristoratore sono, certamente, più limitati e sono necessari dei distinguo.
La responsabilità del ristoratore, ad esempio, per le cose non consegnate direttamente in custodia è circoscritta a quelle di cui è opportuno liberarsi per il miglior godimento della prestazione (ad esempio, appunto, il cappotto, la pelliccia, l’ombrello, il cappello, ecc.), mentre restano sotto la diretta vigilanza del cliente le altre cose che porta addosso e che non costituiscono intralcio alla consumazione del pasto (tra le tante, Cass. civ. n.8268/1987).
E’ stata ritenuta sussistente la responsabilità del ristoratore per il soprabito rubato che era stato appeso ad un attaccapanni in una sala del ristorante (Cass. civ. n.10393/1991) ovvero per il mancato ritrovamento di una pelliccia consegnata al cameriere perché venisse portata nell’apposito guardaroba, ravvisandosi gli elementi della custodia (Cass. civ. n.4445/1985).
Si è, invece, ravvisato il concorso di colpa del cliente per una pelliccia sparita che il cliente stesso aveva chiesto al cameriere di un ristorante sprovvisto di guardaroba di appendere ad un attaccapanni, situato in luogo controllabile e accessibile dallo stesso. In questo caso, infatti, la modalità di consegna non attenevano la piena custodia, ma una cortesia conforme agli usi, ove il bene veniva posizionato a vista del cliente, quindi, una limitata responsabilità (Cass. civ. n.1537/1997).

Le responsabilità per lesioni al cliente

Come ricordato dalla Cassazione Civile n.9997/2020, l’utente che accede in un ristorante ha il diritto di pretendere dal gestore che sia tutelata la sua incolumità fisica. In caso di incidente, il ristoratore può evitare la condanna solo se dimostra il caso fortuito che non poteva essere né previsto né evitato e che comunque ha fatto tutto il possibile per evitare l’incidente.
Nel caso in specie, accadeva che una bambina, mentre si trovava all’interno del ristorante subiva delle lesioni personali quando un cameriere, mentre serviva una pizza ancora fumante, la fece cadere sull’arto superiore della stessa che ne restò ustionata. Venne accertato che la vittima si infortunò perché il cameriere che stava servendo le pietanze fu urtato da una terza persona, perse l’equilibrio e lasciò cadere una pizza bollente sul braccio della danneggiata.
Ebbene, la Corte di Cassazione ha osservato che per escludere la colpa del danneggiante, devono sussistere due caratteristiche:
– il danno non poteva essere previsto, né evitato;
– il responsabile aveva l’obbligo (legale o contrattuale) di prevederlo od evitarlo.
Pertanto, la prevedibilità o l’evitabilità del caso fortuito, quando questo sia costituito dal fatto di un terzo, non può essere presunta in astratto, ma va accertata in concreto.
“ (a) se il professionista medio (e dunque, nella specie, il ristoratore “medio”, di cui all’art.1176, comma secondo, c.c.), potesse con la diligenza da lui esigibile prevedere quel che sarebbe poi accaduto;
(b) se il professionista medio (e dunque, nella specie, il ristoratore “medio”, di cui all’art.1176, comma secondo, c.c.), potesse concretamente adottare condotte diverse, e salvifiche, rispetto a quella effettivamente tenuta. “.
Al contrario, Cass. civ. n.2312/2003 ha ritenuto che non esistesse un nesso causale tra l’evento dannoso ed il servizio di ristorazione, nel caso in cui alcuni clienti abbiano riportato danni alla persona a causa di una attività pericolosa svolta da altri clienti all’interno del locale (lancio di piatti a terra in occasione del Capodanno). Non può ritenersi, infatti, che rientri tra le obbligazioni a carico del gestore del ristorante l’obbligo di far cessare ogni attività pericolosa posta in essere dagli avventori, specie se lo stesso danneggiato sia compartecipe dell’attività dalla quale gli sia derivato il danno.