
Per definire un’attività “pericolosa” con le connesse responsabilità di cui all’art.2050 c.c. (Responsabilità per l’esercizio di attività pericolose) si può, anche, prescindere dalle mere caratteristiche dell’attività stessa, ma riferirsi, invece, alla pericolosità dei beni utilizzati ovvero alla distinzione tra pericolosità della condotta e pericolosità dell’attività in quanto tale. Un’attività normalmente innocua può assumere i caratteri della pericolosità, a causa della condotta imprudente o negligente dell’operatore costituendo elemento di responsabilità ai sensi dell’art.2043 c.c., mentre la pericolosità dell’attività esercitata risulta potenzialmente dannosa per l’alta percentuale di pregiudizi che può provocare per la natura o per la tipologia dei mezzi adoperati e rappresenta, perciò, una componente della responsabilità di cui all’art. 2050 c.c.. La Cass. civ. n.28626/2019 e n.08449/2019 hanno così definito le caratteristiche e la nozione di “attività pericolosa”.
L’accertamento in concreto, quindi, se un’attività, pur non espressamente qualificata come pericolosa da disposizioni di legge, possa o meno essere considerata tale, ai sensi dell’art. 2050 c.c., è rimesso in via esclusiva al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità, ove correttamente e logicamente motivato (Cass.Civ.n.04545/2019, n.01195/2007 e n. 08095/2006).
Ampia e varia è la casistica delle attività cc.dd. “pericolose” nella giurisprudenza. Qualche esempio:
– la produzione e distribuzione di energia elettrica ad alta tensione. La produzione e distribuzione di energia elettrica costituisce attività pericolosa per i rischi cui espone e implicati dalla materia trattata, a prescindere quindi dalla circostanza che si tratti di rischi da contatto oppure di guasti alla distribuzione;
– la produzione e la distribuzione di gas in bombole (anche dopo il riempimento, trasporto e distribuzione), di gas metano, di lumi a gas e di aerosol in bombole;
– tutte le attività di trasporto e conservazione di sostanze combustibili facilmente infiammabili (petrolio greggio attraverso un oleodotto, discarica di combustibile da una nave, la gestione d’un deposito di oli minerali infiammabili, le operazioni di pulizia di una cisterna adibita alla raccolta di carburante);
– l’attività pirotecnica e la fabbricazione, manipolazione e infustazione del carburo di calcio;
– le attività che hanno a che fare con le armi e gli esplosivi e con la produzione e distribuzione di sostanze venefiche o infettive;
– le attività edilizie ed i lavori stradali, specie quando comportano opere di trasformazione, rivolgimento o spostamento di masse terrose e scavi profondi con uso di macchinari, così come nei casi di escavazione, interramento e sbancamento. La pericolosità è ravvisabile sia nel caso di cantiere attivo (fase dinamica), che inattivo (fase statica). La manutenzione dei semafori, la scalpellatura di pietre sulla via pubblica, la posa di condutture nel sottosuolo, l’utilizzo di esplosivi e quindi la gestione di cave e miniere;
-il disboscamento e il taglio degli alberi;
-l’impiego di raggi X nelle attività mediche e le attività trasfusionali;
-la produzione di farmaci e di rifiuti tossici;
– le giostre e parchi divertimento se le caratteristiche dei macchinari o della giostra possono essere ritenute pericolose;
etc..
Nelle attività sportive, la pericolosità in relazione all’art.2050 c.c., è stata individuata, ad esempio:
– nell’attività venatoria, con l’uso di armi da fuoco o simili.
-negli impianti di risalita, seggiovie e sciovie ove la pericolosità venga accertata in concreto, in base alle caratteristiche degli impianti, al materiale adoperato, alla manutenzione, etc.;
-nello sci, sci nautico, nella scuola di equitazione, nel noleggio di cavalli, nella pista di go-karts, con l’accertamento di specifiche caratteristiche proprie del caso concreto, idonee a rendere pericoloso lo svolgimento dell’attività;
– nell’organizzazione di gare sportive, salvo che gli organizzatori, abbiano predisposto idonee cautele per contenere il rischio correlato alla specifica attività e nel rispetto di eventuali regolamenti sportivi;
– nella navigazione aerea, quando non effettuata nella normalità delle condizioni previste (piani di volo, condizioni di sicurezza, condizioni atmosferiche) ed esercitata, quindi, in condizioni di anormalità o di pericolo;
etc..
La prova liberatoria dell’esercente l’attività pericolosa
Per quanto concerne, invece, il contenuto della prova liberatoria ex art.2050 per cui si è tenuti al risarcimento, se non si prova di avere adottato tutte le misure idonee a evitare il danno, alcune osservazioni di legittimità:
-la Cassazione Civile n.13579/2019, in conformità a precedenti orientamenti (Cass.Civ. n.03022/2001; n. 07298/2003; n.17851/2003;) ha ribadito come nel caso di attività di lavori su strada pubblica, da considerarsi pericolosa, l’esercente è assoggettato alla presunzione di responsabilità in relazione ai danni subiti dagli utenti della strada a causa e nello svolgimento dell’attività stessa. Una presunzione che può essere superata fornendo la dimostrazione di avere adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno (scelta con un margine di discrezionalità), fermo restando che tale facoltà di scelta non investa, però, quelle misure preventive che già la legge impone di adottare, ma è relativa solo a quelle aggiuntive che la situazione del caso concreto e/o i progressi della tecnica consigliano di adottare. Pertanto, deve ritenersi non superata la presunzione di responsabilità da parte dell’esercente quando abbia adottato misure diverse da quelle prescritte da norme legislative (o regolamentari), senza che vi sia alcuna possibilità, in tal caso, di valutarne l’idoneità;
-la Cassazione civile n.06587/2019 ha precisato, inoltre, in relazione ai danni conseguenti alla produzione e immissione in commercio di farmaci, che l’impresa farmaceutica è tenuta a dimostrare di avere osservato, prima della produzione e immissione sul mercato del farmaco, i protocolli di sperimentazione previsti dalla legge, e di avere fornito un’adeguata informazione circa i possibili effetti indesiderati dello stesso, aggiornandola, se necessario, in relazione all’evoluzione della ricerca. In applicazione di tale principio la Corte ha cassato la sentenza di merito che, con riguardo all’effetto indesiderato di un farmaco, del quale non si conosceva la causa, riscontrabile con una percentuale di uno su un milione, aveva ritenuto non raggiunta la prova liberatoria, nonostante la relativa segnalazione nel foglietto illustrativo.