
Con la Legge 12 Dicembre 2016, n.238 ed in particolare con gli artt.15, 24, 25, 43, 51, 70, 71, 73, 74 e 76 della Legge n.238/2016 s.m., vengono disciplinati una serie di divieti, oneri e sanzioni, in tema di coltivazione della vite e di produzione e commercializzazione del vino.
Sull’argomento, alcune decisioni della Corte di Cassazione:
– Cass. civ. n.6352/2022 in relazione alla responsabilità di violazioni per aver sottoposto mosti e vini ad un trattamento enologico sterilizzante con raggi UV-C quale sperimentazione non consentita, ma soggetta ad autorizzazione.In riferimento alla normativa nazionale interna, l’art.1, comma 7, del d.lgs. n.260/2000 sottopone a sanzione amministrativa pecuniaria “chiunque” viola i limiti, le condizioni e le altre prescrizioni in materia di pratiche e trattamenti enologici.
A sua volta, il Decreto ministeriale del 2003 stabilisce che, ai fini del rilascio dell’autorizzazione ad effettuare prove sperimentali previsti dai Regolamenti CE, i “soggetti interessati” devono presentare una domanda avente un determinato contenuto.
La dicitura generalizzata “chiunque”, al pari di quella omnicomprensiva “soggetti interessati”, non può non comprendere, oltre ai produttori vitivinicoli, anche i promotori della pratica sperimentale i quali, inevitabilmente, hanno interesse a che la stessa realizzi i suoi obiettivi;
– Cass. civ. n.25069/2021 in tema di contraffazione di “marchi”. E’ da escludere che il marchio costituito dall’uso di un patronimico possa essere considerato di per sé debole, sempre che il nome utilizzato non abbia alcuna relazione col prodotto e non venga usato nella consuetudine di mercato per designare una categoria di prodotti, non potendosi negare il carattere forte del marchio in relazione al grado di diffusione del nome (Cass. civ. n.29879/2011; Cass. civ. n.4839/2000). L’art.8, comma 2, c.p.i. (Codice della proprietà industriale) precisa che la registrazione del marchio patronimico non impedisce a chi abbia diritto al nome di farne uso nella ditta prescelta, sempre che sussistano i presupposti dell’art.21, comma 1, c.p.i.: questo dispone che i diritti di marchio d’impresa registrato non permettono al titolare di vietare ai terzi l’uso nell’attività economica, purché l’uso sia conforme ai principi della correttezza professionale, del loro nome e indirizzo. Detto art.21 che prevede il diritto conferito dal marchio di impresa, non permette al titolare dello stesso di vietare ai terzi l’uso nel commercio del loro nome e indirizzo, sempre che l’uso sia conforme agli usi consueti di lealtà in campo industriale e commerciale. Il rilievo che assume, nel giudizio avente ad oggetto la contraffazione del marchio patronimico, il rispetto dei principi di correttezza professionale è stato sottolineato a più riprese, in tempi anche recenti, dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass. civ. n.10298/2020; Cass. civ. n. 12995/2017 ; Cass. civ. n.10826/2016).
L’art.124 c.p.i., si occupa della sorte dei beni coinvolti nella violazione dei diritti di privativa. Qualora venga accertata la “contraffazione” il giudice può disporre la distruzione delle cose costituenti la violazione del diritto di proprietà industriale (art.124, comma 2, c.p.i.) o assegnare in proprietà i beni importati in violazione del diritto stesso e i mezzi specifici che servono univocamente a produrli e ad attuare il metodo o il processo tutelato (art.124, comma 3, c.p.i.). Può altresì ordinare il ritiro dal commercio, definitivo o temporaneo, di beni la cui reintroduzione nei circuiti commerciali è subordinata agli adeguamenti imposti a garanzia del rispetto del diritto (art.124, comma 2, c.p.i.). L’ordine di ritiro dal commercio ha evidentemente lo scopo di sottrarre al mercato i beni materiali attraverso i quali si è attuata la lamentata contraffazione: si tratta di una misura meno drastica rispetto a quelle dell’assegnazione in proprietà al titolare del diritto e della distruzione dei beni e che, nel caso di ritiro temporaneo, fa salva la commercializzazione del bene, purché vi siano stati adeguati interventi modificativi per un utilizzo legittimo;
– Cass. civ. n.27194/2019, in tema di marchi relativi a prodotti agricoli e alimentari e la differenza di funzioni sussistente tra marchi e indicazioni geografiche (I.G.P.) o denominazioni di origine protetta (D.O.P.):
– Cass. Pen. n.12532/2020, in tema di produzione e vendita di sostanze alimentari per il reato di cui all’art.5, comma 1, lett. g), legge 30 aprile 1962, n.283.