
Per falsa applicazione dell’art.2043 c.c. ed art.51 c.p., la Corte di Cassazione Civile n.4036/2021 ha così deliberato in tema di responsabilità del giornalista e suo editore:
“Nel giornalismo d’inchiesta occorre valutare non tanto l’attendibilità e la veridicità della notizia quanto piuttosto il rispetto dei doveri deontologici di lealtà e buona fede oltre che la maggiore accuratezza possibile posta dal giornalista nella ricerca delle fonti e della loro attendibilità.”.
E’ erroneo ritenere la responsabilità civile del giornalista e dell’editore senza prendere posizione sul rispetto da parte dei medesimi dei menzionati doveri deontologici, ma limitandosi a valorizzare il solo criterio della verità o verosimiglianza della notizia. Non é corretto applicare il solo parametro valutativo della veridicità della notizia senza considerare che il giornalista intendeva porre in essere un’attività di giornalismo d’inchiesta esprimendo la propria opinione sugli eventi riferiti in forza della libertà di manifestazione del pensiero.
La giurisprudenza di legittimità ha sempre riconosciuto ampia tutela ordinamentale al giornalismo d’inchiesta, il quale implica il minor rigoroso apprezzamento della veridicità della notizia e valorizza il rispetto dei doveri deontologici di lealtà e di buona fede unitamente alla maggiore accuratezza possibile nella ricerca delle fonti (Cass. civ. n.16236/2010).
Il giornalismo di denuncia è tutelato dal principio costituzionale del diritto alla libera manifestazione del pensiero in contesti in cui sussiste l’interesse pubblico all’oggetto dell’indagine giornalistica ed il diritto della collettività ad essere informata non solo sulle notizie di cronaca ma anche sui temi sociali di particolare rilievo attinenti la libertà, sicurezza salute e ad altri diritti di interesse generale.
“In questa prospettiva è scriminato il giornalista che eserciti la propria attività mediante la denuncia di sospetti di illeciti, allorquando tali sospetti, secondo un apprezzamento caso per caso riservato al giudice di merito, non siano obiettivamente del tutto assurdi ma risultino espressi in modo motivato e argomentato sulla base di elementi obiettivi e rilevanti” (Cass. Pen. n.9337/2012).