Come ricordato da Cass. civ. n.40338/2021, per chiedere il ristoro del danno patrimoniale da lucro cessante è necessaria la prova, anche presuntiva, della sua certa esistenza, senza la quale non vi è spazio per alcuna forma di attribuzione patrimoniale, anche, equitativa in considerazione dell’impossibilità o della grande difficoltà di dimostrarne la misura. (Cass. civ. n.11968/2013).
Da rammentare che “l’esercizio del potere discrezionale di liquidare il danno in via equitativa, conferito al giudice dagli artt.1226 e 2056 cod. civ., presuppone che sia dimostrata l’esistenza di danni risarcibili e che risulti obiettivamente impossibile, o particolarmente difficile, provare il danno nel suo preciso ammontare” .
Tutto ciò non esime la parte interessata dall’onere di dimostrare non solo il diritto al risarcimento, ma anche «ogni elemento di fatto utile alla quantificazione del danno e di cui, nonostante la riconosciuta difficoltà, possa ragionevolmente disporre» (vds. Cass. civ. n.20889/2016; Cass. civ. n.127/2016).
L’art.1218 c.c. solleva il creditore dell’obbligazione non adempiuta (o non esattamente adempiuta) dall’onere di provare la colpa del debitore, ma non da quello di provare il nesso di causa tra la condotta del debitore e il danno di cui si chiede il risarcimento e nel caso di responsabilità di cui all’art. 1218 c.c. l’inadempimento si sostanzia nel mancato soddisfacimento dell’interesse dedotto in obbligazione. (Cass. civ. n.28991/2019).
Anche per la perdita di “chance” la pretesa risarcitoria richiede la preesistenza di una situazione “positiva” e cioè di un fatto su cui sia andato ad incidere sfavorevolmente la condotta colpevole del danneggiante, impedendone la possibile evoluzione migliorativa (Cass. civ. n. 289939/2019).
A fronte di un evento di danno incerto nella suo reale accadimento, la richiesta risarcitoria necessita, dal punto di vista probatorio, della dimostrazione di una soglia probabilistica più elevata che non può identificarsi nella mera probabilità.