L’abbandono che il maltrattamento di animali comportano la responsabilità penale di queste condotte illecite, punite dall’ordinamento con la pena detentiva o con l’ammenda.

ABBANDONO

Il reato di abbandono di animale è punito dall’art.727 c.p.che sancisce: “1. Chiunque abbandona animali domestici o che abbiano acquisito abitudini della cattività è punito con l’arresto fino ad un anno o con l’ammenda da 1.000 a 10.000 euro. 2. Alla stessa pena soggiace chiunque detiene

La Cass. pen. n.15076/2018 che “ il reato di cui all’art.727 cod. pen non sanziona esclusivamente gli atti di crudeltà caratterizzati dal dolo, ma anche comportamenti colposi di incuria e abbandono nei confronti degli animali, come quelli verificatisi nel caso di specie. La condanna è intervenuta – contrariamente a quanto riferito dal ricorrente – sulla base di molteplici elementi probatori, che – secondo la corretta valutazione di merito del giudice di primo grado – dimostrano le gravi sofferenze subite dagli animali, quali: le fotografie scattate al momento dell’accertamento, da cui appariva evidente la magrezza dei cavalli e le dichiarazioni del veterinario della ASL, intervenuto sul posto, che ha accertato lo stato di malnutrizione e malattia degli animali, vicini, quindi, ad un tracollo fisico evidente, da cui non poteva che derivare una sofferenza. È stata, inoltre, pienamente accertata l’incompatibilità delle condizioni di detenzione degli animali con la loro natura, dal momento che, da plurime testimonianze, è stato riscontrato che i cavalli erano privi di un adeguato riparo – avendo a disposizione solo una tettoia di pochi metri quadrati, su un’area cementata e coperta di escrementi – e senza foraggio.”

In riferimento particolare al comma 2 dell’art.727 c.p. , la Cassazione penale n.52031/2016 precisa altresì che: “configurano il reato di maltrattamenti di animali, anche nella formulazione novellata di cui all’art.727 cod. pen., non soltanto quei comportamenti che offendono il comune sentimento di pietà e mitezza verso gli animali destando ripugnanza per la loro aperta crudeltà ma anche quelle condotte che incidono sulla sensibilità dell’animale, producendo un dolore, avuto riguardo, per le specie più note (quali, ad esempio, gli animali domestici), al patrimonio di comune esperienza e conoscenza e, per le altre, alle acquisizioni delle scienze naturali. (…) La natura “grave” delle sofferenze, quale conseguenza delle modalità della detenzione dell’animale, pone un limite all’applicabilità della norma incriminatrice di cui costituisce elemento costitutivo.”.

MALTRATTAMENTI

Il reato di maltrattamenti è invece previsto dall’art.544 ter c.p., ai sensi del quale: “1. Chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona una lesione ad un animale ovvero lo sottopone a sevizieo a comportamentio a fatiche o lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche è punito con la reclusione da tre mesi a diciotto mesi con la multa da 5.000 a 30.000 euro. 2. La stessa pena si applica a chiunque somministra agli animali sostanze stupefacenti o vietate ovvero li sottopone a trattamenti che procurano un danno alla salute degli stessi. 3. La pena è aumentata della metà se dai fatti di cui al primo comma deriva la morte dell’animale.”

Con la sentenza della Cass. pen. n.8036/2018, la S.C. ha ritenuto inammissibile il ricorso avanzato per il reato di cui all’art 544 ter c.p., comma 2 in quanto: “ … nel presente caso è stato contestato al (…) di avere volontariamente sottoposto l’animale a sevizie ed ad un trattamento incompatibile con la sua indole, consistente nel tenerlo legato per vari giorni ad una catena all’aperto, senza cure igieniche, senza somministrazione né di cibo né di acqua, in assenza di un valido riparo (a tale proposito giova ricordare che il reato è stato contestato nel mese di gennaio, periodo in cui è ragionevole pensare che le temperature siano estremamente rigide ed inadeguate al benessere dei cani in assenza di idonee forme di protezione).”.