Le responsabilità dei genitori per il fatto illecito del minore
Della responsabilità dei genitori per gli illeciti commessi dai figli minori si occupa l’art.2048 c.c.. Questa disposizione sancisce che: “1. Il padre e la madre, o il tutore sono responsabili del danno cagionato dal fatto illecito dei figli minori non emancipati o delle persone soggette alla tutela che abitano con essi. La stessa disposizione si applica all’affiliante.3. Le persone indicate dai commi precedenti sono liberate dalla responsabilità soltanto se provano di non aver potuto impedire il fatto.”.
Si tratta quindi di una responsabilità civile di natura risarcitoria. La norma risponde all’esigenza di non far ricadere sul minore, responsabilità che, a causa della sua immaturità e inesperienza, non sarebbe in grado di sostenere. I genitori rispondono difatti per culpa in educando e in vigilando perché è loro preciso dovere educare e vigilare sul comportamento dei figli, per evitare che le loro condotte possano recare danno a terzi. Essi sono liberati da ogni responsabilità solo se riescono a dimostrare di non aver potuto impedire il fatto in alcun modo.
Per quanto riguarda la natura della responsabilità dei genitori per il fatto illecito del figlio minore, secondo una parte della dottrina essa è di tipo diretto, o per fatto proprio, mentre per altra corrente si tratta di una responsabilità oggettiva o indiretta. Questa seconda tesi sembra avvalorata da molte pronunce di merito secondo le quali, non potendosi in molti casi dimostrare in positivo quale educazione viene impartita dai genitori, è possibile ottenere tale dato in negativo, nel senso che se gli stessi educassero adeguatamente il minore, quest’ultimo non commetterebbe sicuramente l’illecito.
Presupposto necessario ai fini dell’applicazione dell’art.2048 c.c. è la coabitazione del minore con i propri rappresentanti legali. Come precisato dalla Cassazione civile n.3964/2014 infatti: “In via di principio si rammenta che la responsabilità dei genitori per i fatti illeciti commessi dal minore con loro convivente, prevista dall’art. 2048 cod. civ., è correlata ai doveri inderogabili posti a loro carico all’art.147 cod. civ. e alla conseguente necessità di una costante opera educativa, finalizzata a correggere comportamenti non corretti e a realizzare una personalità equilibrata, consapevole della relazionalità della propria esistenza e della protezione della propria ed altrui persona da ogni accadimento consapevolmente illecito. Per sottrarsi a tale responsabilità, essi devono pertanto dimostrare di aver impartito al figlio un’educazione normalmente sufficiente ad impostare una corretta vita di relazione in rapporto al suo ambiente, alle sue abitudini ed alla sua personalità, non assumendo alcun rilievo, a tal fine, la prova di circostanze (quali l’età ormai raggiunta dal minore e le esperienze lavorative da lui eventualmente avute) idonee ad escludere l’obbligo di vigilare sul minore, dal momento che tale obbligo può coesistere con quello educativo, ma può anche non sussistere, e comunque diviene rilevante soltanto una volta che sia stata ritenuta, sulla base del fatto illecito determinatosi, la sussistenza della culpa in educando (Cass. civ. n.9556/2009). I criteri in base ai quali va imputata ai genitori la responsabilità per gli atti illeciti compiuti dai figli minori consistono, dunque, sia nel potere-dovere di esercitare la vigilanza sul comportamento dei figli stessi, in relazione al quale potere-dovere assume rilievo determinante il perdurare della coabitazione; sia anche e soprattutto nell’obbligo di svolgere adeguata attività formativa, impartendo ai figli l’educazione al rispetto delle regole della civile coesistenza, nei rapporti con il prossimo e nello svolgimento delle attività extrafamiliari. In quest’ultimo ambito rientrano i danni provocati dalle manifestazioni di indisciplina, negligenza o irresponsabilità, nello svolgimento di attività suscettibili di arrecare danno a terzi, fra cui in particolare l’inosservanza delle norme della circolazione stradale (Cass. civ. n.7050/2008).”.
L’art.2048 c.c però non è norma isolata, essa deve essere letta assieme all’art.2047 c.c, che pone in capo ai sorveglianti, compresi i genitori, l’obbligo di risarcire i danni commessi dall’incapace di intendere e di volere, a meno che costoro riescano a dimostrare di non aver potuto impedire il fatto.
Il distinguo che fa la dottrina tra gli artt.2047 c.c e 2048 c.c, norme apparentemente simili è il seguente:
– se il figlio (minore o maggiore d’età) è incapace d’intendere e di volere (quindi non imputabile del fatto dannoso ex art.2046 c.c.) ne risponde il sorvegliante, che può anche non coincidere con il genitore;
– se invece il minore è capace d’intendere e di volere allora del danno ne rispondono i genitori.