La Normativa
Il D.P.R. 24 maggio 1988, n. 224, emanato in materia di responsabilità del produttore (attuazione della direttiva comunitaria 85/374/CEE del 25 luglio 1985) viene abrogato e sostituito dal Codice del consumo (D.lgs. n. 206/2005) con cui viene disciplinata, nel nostro ordinamento, la nuova responsabilità del produttore per i danni derivanti dai prodotti difettosi (artt.114 e 127 del Codice del Consumo ).
Il produttore
Nell’ambito dell’applicazione della norma, le due figure, soggettivamente contrapposte, sono rappresentate dal ”produttore”, da una parte e “dal consumatore/utente” dall’altro, mentre dal “prodotto difettoso” potrà derivare il danno risarcibile.
L’articolata definizione di “produttore” quale: “il fabbricante del bene o il fornitore del servizio, o un suo intermediario, nonché l’importatore del bene o del servizio nel territorio dell’Unione europea o qualsiasi altra persona fisica o giuridica che si presenta come produttore identificando il bene o il servizio con il proprio nome, marchio o altro segno distintivo”, così come definito dall’ art.3 comma 1, d) del D.Lgs. n.206/2005 rimanda a ulteriori definizioni previste nel testo del Codice del Consumo, per cui:
è “produttore” in tema di “sicurezza dei prodotti” (art.103, comma 1, lettera d del Codice del Consumo): “il fabbricante del prodotto stabilito nella Comunita’ e qualsiasi altra persona che si presenti come fabbricante apponendo sul prodotto il proprio nome, il proprio marchio o un altro segno distintivo, o colui che rimette a nuovo il prodotto; il rappresentante del fabbricante se quest’ultimo non e’ stabilito nella Comunità o, qualora non vi sia un rappresentante stabilito nella Comunità, l’importatore del prodotto; gli altri operatori professionali della catena di commercializzazione nella misura in cui la loro attività possa incidere sulle caratteristiche di sicurezza dei prodotti”;
mentre, in tema di “responsabilità per danno da prodotti difettosi” (art.115, comma 2-bis del Codice del Consumo), il “Produttore, ai fini del presente titolo, e’ il fabbricante del prodotto finito o di una sua componente, il produttore della materia prima, nonché, per i prodotti agricoli del suolo e per quelli dell’allevamento, della pesca e della caccia, rispettivamente l’agricoltore, l’allevatore, il pescatore ed il cacciatore.”
Il prodotto
Il Produttore, quindi, assume la veste di “fabbricante” ma anche di “fornitore del servizio” e come indicato nell’art.114 del Codice del Consumo la relativa responsabilità é da ascriversi al danno cagionato da difetti del “prodotto” che viene così definito alla lettera e) dell’art.3 del Decreto: “fatto salvo quanto stabilito nell’articolo 18, comma 1, lettera c), e nell’articolo 115, comma 1, qualsiasi prodotto destinato al consumatore, anche nel quadro di una prestazione di servizi, o suscettibile, in condizioni ragionevolmente prevedibili, di essere utilizzato dal consumatore, anche se non a lui destinato, fornito o reso disponibile a titolo oneroso o gratuito nell’ambito di un’attività commerciale, indipendentemente dal fatto che sia nuovo, usato o rimesso a nuovo; tale definizione non si applica ai prodotti usati, forniti come pezzi d’antiquariato, o come prodotti da riparare o da rimettere a nuovo prima dell’utilizzazione, purché il fornitore ne informi per iscritto la persona cui fornisce il prodotto;”.
L’art.3, quindi, richiama quanto previsto, in tema di “prodotto”, dall’art.18, comma 1, lettera c), “qualsiasi bene o servizio, compresi i beni immobili, i diritti e le obbligazioni;” e dall’art.115 , comma , in tema di responsabilità per danno da prodotti difettosi: “Prodotto, ai fini del presente titolo, é ogni bene mobile, anche se incorporato in altro bene mobile o immobile. Si considera prodotto anche l’elettricità”.
La norma in esame, quindi,s’inserisce nel tipico rapporto contrattuale che si instaura fra il produttore/fornitore e il consumatore/utente, quest’ultimo definito dall’art.3, lettera a) come “la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta” e che viene tutelato, anche, dalla disciplina sulla responsabilità contrattuale, di cui agli artt. 1218 e ss. c.c. e quella sulla risoluzione per inadempimento, di cui agli artt. 1453 ss. c.c. realizzandosi, pertanto, un coacervo di diverse e distinte responsabilità, interconnesse tra loro, per il prodotto e la prestazione del servizio.
La Cassazione Civile n.29828/2018 ha argomentato sul significato di prodotto difettoso, osservando: “Come questa Corte ha già avuto modo di porre in rilievo, l’art. nell’art.117 del Codice del Consumo ( e già l’art. 5 d.p.r. n. 224 del 1988 ) definisce “difettoso” non ogni prodotto insicuro ma quel prodotto che non offra la sicurezza che ci si può legittimamente attendere in relazione al modo in cui il prodotto è stato messo in circolazione, alla sua presentazione, alle sue caratteristiche palesi alle istruzioni o alle avvertenze fornite, all’uso per il quale il prodotto può essere ragionevolmente destinato, ai comportamenti che in relazione ad esso si possono ragionevolmente prevedere, al tempo in cui il prodotto è stato messo in circolazione. Si è al riguardo precisato che il concetto di difetto è sostanzialmente riconducibile al difetto di fabbricazione, ovvero alle ipotesi dell’assenza o carenza di istruzioni, ed è strettamente connesso al concetto di sicurezza. Non corrisponde pertanto né alla nozione di “vizio” di cui all’art.1490 c.c., in base al quale può trattarsi di un’imperfezione del bene che può anche non comportare un’insicurezza del prodotto, né a quella di difetto di conformità introdotto dalla disciplina sulla vendita dei beni di consumo, postulando invero un pericolo per il soggetto che fa un uso del prodotto o per coloro che, comunque, si trovano in contatto con esso ( v. Cass., 29/5/2013, n. 13458 ). Il legislatore ha, inoltre, precisato che il prodotto non può essere considerato difettoso per il solo fatto che un prodotto più perfezionato sia stato in qualunque tempo messo in commercio; e che il prodotto è difettoso se non offre la sicurezza offerta normalmente dagli altri esemplari della medesima serie. Si è ulteriormente sottolineato che, anche assumendo come parametro, integrativo di riferimento la nozione di prodotto “sicuro” contenuta nella disciplina sulla sicurezza generale dei prodotti ( peraltro successiva ai fatti di cui si controverte ) di cui all’art. 103 Codice del consumo ( e già al d.lgs. n.172 del 2004 ), il livello di sicurezza prescritto, al di sotto del quale il prodotto deve considerarsi difettoso, non corrisponde a quello della sua più rigorosa innocuità, dovendo farsi riferimento ai requisiti di sicurezza dall’utenza generalmente richiesti in relazione alle circostanze piuttosto specificamente indicate all’art. 117 Codice del consumo (e già all’art. 5 d.p.r. n. 224 del 1988), o ad altri elementi in concreto valutabili e concretamente valutati dal giudice di merito, nell’ambito dei quali debbono farsi rientrare gli standards di sicurezza eventualmente imposti dalle norme in materia ( v. Cass., 29/5/2013, n. 13458 ). Si è osservato come la verificazione del danno di per sé non deponga per la pericolosità del prodotto in condizioni normali di impiego, ma solo per una sua più indefinita pericolosità, invero insufficiente a fondare la responsabilità del produttore laddove non venga in concreto accertato che la stessa pone il prodotto al di sotto del livello di garanzia e di affidabilità richiesto dalle leggi in materia o dall’utenza ( v. Cass., 29/5/2013, n. 13458; Cass. 13/12/2010, n. 25116 ).”
Il Fornitore
La figura del “fornitore” prevista dall’art.116 del Codice del Consumo, viene sottoposto alla stessa responsabilità del “produttore” se quest’ultimo non sia stato individuato per omissione del fornitore stesso che non ha comunicato al danneggiato, entro tre mesi dalla richiesta, l’identità e il domicilio del produttore o della persona che gli ha fornito il prodotto.
Sull’argomento, la Cassazione Civile n.32226/2018 ha affermato che “L’inerenza della norma alla responsabilità del produttore, ed il suo inserimento nel titolo del Codice del consumo dedicato alla responsabilità del produttore, escludono dal campo della responsabilità solidale il fornitore, per il quale l’art. 4 della legge citata (ora art. 116 del codice del consumo) prevede una speciale disciplina. Il fornitore è responsabile in via alternativa rispetto al produttore ed in particolare se, non risultando individuato il produttore, abbia omesso di comunicare al danneggiato nel termine previsto l’identità ed il domicilio del produttore. Fatto costitutivo della solidarietà passiva è pertanto l’appartenenza del soggetto alla catena produttiva che ha determinato il danno. La responsabilità solidale si viene formando “a cascata” tra i vari produttori che collaborano alla destinazione alla circolazione del prodotto finito.
Nel caso in specie, “Il fornitore, in quanto soggetto estraneo alla catena produttiva, non è in rapporto di solidarietà passiva con il produttore, sicché l’atto interruttivo della prescrizione indirizzato al primo non può essere produttivo di effetti nei confronti del secondo. Solo se il fornitore fosse stato partecipe della catena produttiva si sarebbe realizzato il presupposto della solidarietà passiva, e dunque dell’estensione al debitore solidale dell’effetto interruttivo della prescrizione, ma un accertamento di fatto in tal senso manca nella sentenza impugnata.”
La pluralità di responsabili
Nell’ambito della definizione di “produttore” viene contemplata la figura del “..o un suo intermediario”, quindi, l’ “intermediario” del fabbricante o del fornitore di servizio, tipica fattispecie del ciclo di produzione del prodotto, é colui che partecipa alla creazione del prodotto finito, ad esempio, quale fornitore di materia prima o di componenti del prodotto stesso e assume una propria responsabilità connessa al prodotto fornito. Sussiste, pertanto, la responsabilità di tutti gli operatori della catena di produzione o di fornitura di un servizio in relazione all’art.121 del Codice del consumo per cui “Se più persone sono responsabili del medesimo danno, tutte sono obbligate in solido al risarcimento”. Il danneggiato, quindi, potrà essere risarcito integralmente da uno dei corresponsabili che potrà agire con azione di regresso verso gli altri per il recupero del risarcimento stesso “nella misura determinata dalle dimensioni del rischio riferibile a ciascuno, dalla gravita’ delle eventuali colpe e dalla entità delle conseguenze che ne sono derivate. Nel dubbio la ripartizione avviene in parti uguali”.
Il produttore farmaceutico, ad esempio, risponde verso gli utenti, anche, quando abbia usato sostanze componenti il farmaco fornite da terzi, dovendo verificare direttamente l’innocuità dei materiali ricevuti. In ogni caso, chi ha fabbricato un componente o fornito la materia prima, assemblata o incorporata nel prodotto finale, risponderà se risulterà difettoso il componente o la materia prima stessa.
Altra categoria di operatori assimilabili agli “intermediari del fabbricante” sono gli “operatori professionali della catena di commercializzazione la cui attività può incidere sulle caratteristiche di sicurezza del prodotto” così come previsto alla lett.d) dell’art.103 cod.cons.., intendendosi per tali coloro che svolgono un controllo sul prodotto, test di sicurezza o controllo di qualità e distinguendo tra le attività svolte in una fase, ancora, connessa alla fabbricazione da quella, ad esempio, della messa in opera del prodotto finito presso l’acquirente finale (rivenditore che monta ed installa) oppure attività di magazzinaggio, trasporto e stoccaggio del prodotto finito. L’”intermediario del fabbricante”, quindi, é tale sino al momento della consegna del prodotto all’acquirente, all’utilizzatore (compresi i rivenditori commerciali) od al trasportatore per cui i successivi difetti del prodotto, eventualmente imputabili ai consegnatari, potrebbero sottrarre il produttore stesso dalle proprie responsabilità, con l’intervento dell’art. 119 cod. cons., purché il “..difetto che ha cagionato il danno non esisteva quando il produttore ha messo il prodotto in circolazione” (lett.b) dell’art.118 cod.cons.).
Sembra, invece, pacifico poter escludere dal novero degli “intermediari del fabbricante” il semplice rivenditore o distributore fatto salvo quanto previsto dall’art.1494 c.c. per cui “In ogni caso il venditore è tenuto verso il compratore al risarcimento del danno, se non prova di avere ignorato senza colpa i vizi della cosa. Il venditore deve altresì risarcire al compratore i danni derivati dai vizi della cosa.” Una guaina isolante del tetto difettosa, ad esempio, che dopo l’installazione abbiano consentito il filtrare dell’acqua piovana ed il danneggiamento di mobili, intonaci, pavimenti etc..
Sempre in base alla lettera d) dell’art. 3 cod.cons., si considera, inoltre, produttore “…l’importatore del bene o del servizio nel territorio dell’Unione europea” e cioè quando il distributore risponde verso i terzi come se fosse il produttore. Una tutela efficace per l’importazione di prodotti provenienti da Paesi extraeuropei (es.: fuochi d’artificio cinesi difettosi) per cui, in questo caso, la responsabilità dell’importatore é parificata a quella del produttore ed il danneggiato potrà, sempre, decidere verso quale dei due rivolgersi.
Infine, viene considerato produttore anche “…qualsiasi altra persona fisica o giuridica che si presenta come produttore identificando il bene o il servizio con il proprio nome, marchio o altro segno distintivo” ex lett. d), art. 3, cod. cons. congiungendosi, quindi, la responsabilità del fabbricante con quella di chi opera sul mercato con il proprio nome o marchio sul prodotto o sulla sua confezione. Questo fenomeno é riscontrabile, ad esempio, nella grande distribuzione (prodotti di terzi con proprio marchio) ovvero nel franchising per l’affiliato.
Sul tema, la Cassazione Civile n.1278/2019, però, ha osservato nella vendita a catena di beni di consumo: “occorre tuttavia osservare che la legittimazione della società, chiamata a rispondere in virtù della responsabilità da vizio del prodotto, si fonda sulla circostanza che essa risulta distributrice per l’Italia ………….……”. Nella vendita a catena di beni di consumo, ai sensi dell’ art. 131 del d.lgs. n. 206 del 2005, il cliente finale (consumatore) non può agire direttamente verso uno qualsiasi dei soggetti della catena distributiva, ma deve necessariamente rivolgersi al suo immediato venditore (venditore finale), ultimo anello della detta catena e suo dante causa. Ove manchi I’ indicazione del fabbricante, la disciplina di settore intende come venditore finale anche la casa distributrice. Ai sensi dell’art.3 d.Pr, comma 4, n.224/1988, è sottoposto alla stessa responsabilità del produttore chiunque, nell’esercizio di un’attività commerciale, importi nella Comunità europea un prodotto per la vendita, la locazione, la locazione finanziaria, o qualsiasi altra forma di distribuzione, e chiunque si presenti come importatore nella Unione europea apponendo il proprio nome, marchio o altro segno distintivo sul prodotto o sulla sua confezione. La parte chiamata a rispondere nei confronti del consumatore quale responsabile per la circolazione di un prodotto viziato all’origine, qualora invochi la propria carenza di legittimazione pur essendo un soggetto coinvolto nella catena di vendita del prodotto, ha l’onere di indicare il soggetto legittimato ai sensi della legge che regola il settore, non potendosi limitarsi a fondare l’eccezione sulla affermazione di non essere produttore o diretto rivenditore, fatto di per sé irrilevante ove risulti essere stata l’ultimo anello della catena di distribuzione del prodotto sul territorio nazionale (v. anche Cass. 26514/2009, confermata da Cass. Sez. 2 – , Sentenza n. 18610 del 27/07/2017).”
I danneggiati
Con l’introduzione del Codice del consumo, il soggetto tutelato sembra essere solo il consumatore che usi il prodotto per scopi personali e privati “… estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta” ex lett. a) art.3 con.cons. ed é risarcibile, ai sensi dell’art.123 cod.cons.: “… a) il danno cagionato dalla morte o da lesioni personali; b) la distruzione o il deterioramento di una cosa diversa dal prodotto difettoso, purché di tipo normalmente destinato all’uso o consumo privato e così principalmente utilizzata dal danneggiato.”
Per quanto concerne, invece, il terzo danneggiato non consumatore, gli art.114 e ss. cod.cons. non usando l’espressione “utente” per limitare la portata della responsabilità del produttore al solo consumatore, sembrano consentirne la tutela al fine di poter chiedere il risarcimento del danno subito dal prodotto difettoso (esplosione od incendio di un elettrodomestico che colpisca e/o danneggi terze persone non utenti).
Il prodotto e i difetti
Il “prodotto”, così come recita l’art.115 cod.cons., “ … e’ ogni bene mobile,…… anche se incorporato in altro bene mobile o immobile. Si considera prodotto anche l’elettricità”.
Da un punto di vista oggettivo, quindi, il “prodotto” é esclusivamente un bene mobile (es.: alimenti, prodotti industriali, farmaci, prodotti dell’agricoltura, materiali da costruzioni etc.) compresi quelli incorporati in altri beni mobili (es.: componenti meccaniche, composti chimici e/o farmaceutici, fibre tessili e quant’altro possa far parte di un prodotto finito) nonché l’elettricità (es.: sbalzo di tensione che danneggi un elettrodomestico, un computer, etc.).
In base all’art. 117 cod. cons. “Un prodotto è difettoso quando non offre la sicurezza che ci si può legittimamente attendere tenuto conto di tutte le circostanze, tra cui:
a) il modo in cui il prodotto è stato messo in circolazione, la sua presentazione, le sue caratteristiche palesi, le istruzioni e le avvertenze fornite;
b) l’uso al quale il prodotto può essere ragionevolmente destinato e i comportamenti che, in relazione ad esso, si possono ragionevolmente prevedere;
c) il tempo in cui il prodotto è stato messo in circolazione.
2. Un prodotto non può essere considerato difettoso per il solo fatto che un prodotto più perfezionato sia stato in qualunque tempo messo in commercio.
3. Un prodotto è difettoso se non offre la sicurezza offerta normalmente dagli altri esemplari della medesima serie”.
L’aspetto peculiare su cui puntare l’attenzione é l’accezione di “difetto” che non offre la sicurezza attesa, utilizzato nel succitato articolo, ben differente da quello di “vizio” del bene venduto, trattato dal codice civile agli art.1490 ss. che configura, invece, un bene prodotto non idoneo all’uso cui é destinato ovvero di scarsa qualità.
Come già visto, il “difetto” del prodotto può derivare dalla fabbricazione, dalla progettazione, dal deperimento, dalle errate o non complete istruzioni d’uso, ecc. che hanno reso insicuro il prodotto.
L’onere della prova e le esimenti del produttore
L’art. 118 cod.cons. definisce i casi in cui la responsabilità del “produttore”, come sopra individuato, é esclusa.
Il danneggiato deve provare il difetto del prodotto oltre al danno ed al nesso di causalità, così recita l’art.120 cod.cons.: “1.Il danneggiato deve provare il difetto, il danno, e la connessione causale tra difetto e danno. 2. Il produttore deve provare i fatti che possono escludere la responsabilità secondo le disposizioni dell’articolo 118. ….”, quindi, provare l’insicurezza del prodotto e non il vizio.
Il danneggiato dovrà dimostrare le carenze del prodotto, ma tali difetti possono essere anche presunti in caso di uso ordinario del prodotto stesso come, per esempio, il caso di un nuovo pneumatico che esplode mentre si guida l’auto a velocità normale. Si presume, quindi, l’esistenza di un difetto quando il prodotto ha cagionato un danno, in assenza di un uso anomalo od improprio. Dopo la prova addotta dall’utente, l’onere dell’eventuale prova liberatoria passerà al produttore che per scagionarsi dovrà dimostrare l’esistenza degli elementi previsti all’art. 118 cod. cons.:
Tra i casi tassativi previsti dall’articolo in esame i più problematici, in genere, attengono quanto previsto alla lettera b) ove sono ricompresi i comportamenti impropri ed imprevedibili dell’utente ovvero i fatti di terzi che abbiano determinato, successivamente, il “difetto” o l’insicurezza del prodotto (l’intervento del rivenditore-distributore con un errato montaggio del prodotto; l’utilizzo anomalo del prodotto da parte dell’utente).
Per l’eventuale concorso di colpa del danneggiato nel verificarsi dell’evento dannoso, l’art.122 cod.cons. ne disciplina i vari aspetti: “1. Nelle ipotesi di concorso del fatto colposo del danneggiato il risarcimento si valuta secondo le disposizioni dell’articolo 1227 del codice civile. 2. Il risarcimento non è dovuto quando il danneggiato sia stato consapevole del difetto del prodotto e del pericolo che ne derivava e nondimeno vi si sia volontariamente esposto. ….”.
L’art.118 lettera e) cod. cons., nell’ambito delle esclusioni della responsabilità, pone la questione attinente lo stato delle conoscenze scientifiche e tecniche del momento in cui il prodotto è stato messo in circolazione che non consentiva di considerare difettoso il prodotto, il cd. “difetto di sviluppo”. Un difetto, quindi, esistente al momento della messa in circolazione del prodotto, ma che non poteva essere scoperto con le conoscenze tecnico-scientifiche del periodo storico in cui era stato prodotto (es.: effetti collaterali di un farmaco). Per questo aspetto, il produttore deve dimostrare di avere adottato tutte le migliori misure di controllo, anche, specialistiche in riferimento alla legislazione in vigore al momento della messa in circolazione del prodotto nonché essersi adoperato, oltre i termini di Legge, per verificare di avere adottato tutto ciò che era possibile fare in relazione al più alto livello di conoscenza dei tempi che non ha consentito di scoprire l’esistenza del difetto del prodotto.
Oltre alle attività di verifica preventiva sulla sicurezza del prodotto, il comma 3 dell’art.104 cod.cons. prevede l’obbligo per il produttore di ritirare (togliere il prodotto dal mercato) o richiamare (invitare i possessori del prodotto a riconsegnarli per le necessarie sostituzioni e/o verifiche) e di fornire adeguate ed efficaci informazioni al pubblico.
In tema di onere della prova, la Cassazione Civile n.29828/2018 ha osservato sull’argomento “Quanto all’onere della prova, l’art. 120 del Codice del Consumo ( come già l’art. 8 d.p.r. n. 224 del 1988 ) prevede che il danneggiato deve provare il danno, il difetto e la connessione causale tra difetto e danno; mentre il produttore deve provare i fatti che possono escludere la responsabilità ex art.118 Codice del Consumo.
Spetta allora anzitutto al danneggiato dimostrare che il prodotto ha evidenziato il difetto durante l’uso, che ha subito un danno e che quest’ultimo deriva dal difetto.
Fornita dal danneggiato tale prova, il produttore ha l’onere di dare la prova liberatoria, consistente nella dimostrazione che il difetto non esisteva quando ha posto il prodotto in circolazione, o che all’epoca non era riconoscibile come in base allo stato delle conoscenze tecnico-scientifiche ( v. Cass., 29/5/2013, n. 13458 ).
La responsabilità da prodotto difettoso integra pertanto un’ipotesi di responsabilità presunta (e non già oggettiva), incombendo sul danneggiato che chiede il risarcimento provare gli elementi costitutivi del diritto fatto valere, e in particolare l’esistenza del “difetto” del prodotto, nonché del collegamento causale tra difetto e danno ( cfr. Cass., 29/5/2013, n. 13458 ).
La prova della difettosità del prodotto può essere peraltro data anche per presunzioni semplici.
A tale stregua, acquisita tramite fonti materiali di prova ( o anche tramite il notorio o a seguito della non contestazione ) la conoscenza di un fatto secondario, il giudice può in via indiretta dedurre l’esistenza del fatto principale ignoto ( nella specie, il difetto del prodotto ), sempre che le presunzioni abbiano il requisito della gravità ( il fatto ignoto deve cioè essere desunto con ragionevole certezza, anche probabilistica ), della precisione (il fatto noto, da cui muove il ragionamento probabilistico, e il l’iter logico seguito non debbono essere vaghi ma ben determinati), della concordanza ( la prova deve essere fondata su una pluralità di fatti noti convergenti nella dimostrazione del fatto ignoto ) ( v. Cass., 29/5/2013, n. 13458. Cfr. altresì Cass., 26/6/2008, n. 17535; Cass., 2/3/2012, n. 3281 ), giacché gli elementi che costituiscono la premessa devono avere il carattere della certezza e della concretezza, essendo invero inammissibile la c.d. praesumptio de praesumpto, non potendosi valorizzare una presunzione come fatto noto, per derivarne da essa un’altra presunzione ( v. Cass., 28/1/2000, n. 988; Cass., 28/1/1995, n. 1044. E già Cass., 3/7/1969, n. 2443; nonché, da ultimo, Cass., 6/7/2018, n. 17720 ).”
La responsabilità oggettiva del produttore
La responsabilità del produttore viene comunemente definita come “oggettiva” e cioè non basata sull’elemento soggettivo della colpa, secondo il principio del “neminem laedere”, ex art.2043 c.c.. Si basa, sostanzialmente, sul presupposto che il prodotto non debba cagionare danno e se ne produce la responsabilità, anche, senza colpa ricade sul produttore, fermo restando le esimenti previste dall’art.118 cod.cons. come sopra esaminato. Il produttore che non riesce a fornire alcuna delle prove liberatorie previste è comunque responsabile, anche, nel caso in cui non si riesca ad individuare la specifica causa del difetto.
Resta, invece, sempre valido il nesso di causalità tra il prodotto difettoso ed il danno subito dall’utente per cui diviene necessaria dimostrarne l’esistenza. L’esempio tipico é l’ingestione di cibi ed il successivo malore del consumatore, da cui dimostrare che l’evento sia stato causato, specificatamente, dal cibo stesso o da altre cause.
Il danno risarcibile
Nell’ambito dei danni o delle lesioni all’utente, in caso di morte derivante da prodotto difettoso, il risarcimento si sostanzia nei danni non patrimoniali, negli eventuali danni patrimoniali per la perdita della fonte del mantenimento economico e nel danno direttamente patito dai congiunti della vittima.
Per il cd. ”danno biologico da morte” o “danno tanatologico” (perdita del diritto alla vita) del deceduto, risarcimento richiesto, ad esempio, dagli eredi, la Cassazione Civile n.32372/2018 ha riaffermato: “La questione, infatti, è stata già risolta dalle Sezioni Unite di questa Corte, secondo cui “in caso di morte cagionata da un illecito, il pregiudizio conseguente è costituito dalla perdita della vita, bene giuridico autonomo rispetto alla salute, fruibile solo in natura dal titolare e insuscettibile di essere reintegrato per equivalente, sicché, ove il decesso si verifichi immediatamente o dopo brevissimo tempo dalle lesioni personali, deve escludersi la risarcibilità “iure hereditatis” di tale pregiudizio, in ragione – nel primo caso – dell’assenza del soggetto al quale sia collegabile la perdita del bene e nel cui patrimonio possa essere acquisito il relativo credito risarcitorio, ovvero – nel secondo – della mancanza di utilità di uno spazio di vita brevissimo” (Cass. civ. n.15350/2015).
Tale principio, dopo l’intervento delle Sezioni Unite, è stato ripetutamente ribadito da questa Corte: tra le tante, in tal senso, si vedano Cass. civ. n.24558/2018; Cass. civ. n.18328/2018; Cass. civ. n.17043/2018; Cass. civ. n.22451/2017).”
La Suprema Corte ha così sancito i seguenti principi:
“…In conclusione:
-) le espressioni “danno terminale”, “danno tanatologico”, “danno catastrofale” non corrispondono ad alcuna categoria giuridica, ma possono avere al massimo un valore descrittivo, e neanche preciso;
-) il danno da invalidità temporanea patito da chi sopravviva quodam tempore ad una lesione personale mortale è un danno biologico, da accertare con gli ordinari criteri della medicina legale, e da liquidare avendo riguardo alle specificità del caso concreto;
-) la formido mortis patita da chi, cosciente e consapevole, sopravviva quodam tempore ad una lesione personale mortale, è un danno non patrimoniale, da accertare con gli ordinari mezzi di prova, e da liquidare in via equitativa avendo riguardo alle specificità del caso concreto.”
Per i danni a cose, diverse dal prodotto difettoso e cagionate da quest’ultimo sono risarcibili i danni da distruzione, danneggiamento o deterioramento mentre per i danni al prodotto difettoso, l’utente dovrà rivolgersi al venditore, ai sensi dell’art.1494 c.c. ovvero chiedere i danni al produttore per i danni ad altri beni non destinati ad uso privato o per il danno economico da mancata utilizzazione del prodotto difettoso, ex art.2043 c.c..
L’assicurazione r.c. prodotti
Con la globalizzazione dei mercati, sviluppatesi e mutate le tecnologie di produzione, la catena dei partecipanti al processo di produzione e le modalità di commercializzazione. E’ aumentata la coscienza dei consumatori e delle associazioni di consumatori di fronte al fenomeno dei prodotti difettosi e si é introdotta, nel nostro ordinamento, la cd.“Class Action” (Azione di Classe) con l’art.140-bis cod.cons..
Per quanto sopra, il “produttore” dovrà adottare un specifico piano per prevenire e ridurre al minimo la difettosità dei prodotti nonché tutelarsi con apposita copertura assicurativa.
Con la polizza assicurativa “R.C. Prodotti” si trasferisce, in tutto od in parte, il rischio economico dall’Imprenditore/Produttore (assicurato) alla Compagnia di assicurazione, ai sensi dell’art.1917 c.c., al fine di garantire e soddisfare il danneggiato per il risarcimento del danno patito.
Prima della stipula della polizza assicurativa, l’Impresa di assicurazione dovrà esaminare le caratteristiche del “produttore” attraverso un apposito questionario (proposta di assicurazione) ove sono richieste le necessarie informazioni per la valutazione del rischio, quali ad esempio: la descrizione dei prodotti; alla qualifica di Produttore; le notizie e le informazioni sui prodotti (le modalità di fabbricazione, le materie prime utilizzate, la tracciabilità dei processi, ecc.); le avvertenze e le istruzioni per l’uso dei prodotti; i controlli in fase di produzione (obbligatori per Legge o volontari); le eventuali esportazioni dirette in USA, Canada, Messico; i precedenti assicurativi; l’ammontare del fatturato ed il numero dei dipendenti.
Con la sottoscrizione del questionario non si é obbligati a contrarre la polizza, ma in caso di accettazione delle condizioni offerte dall’Impresa di assicurazione per assumere il rischio e relativa stipula del contratto, le dichiarazioni rese nel questionario saranno prese a fondamento del contratto e formeranno parte integrante del medesimo (artt.1892 e 1893 c.c.).
L’oggetto della copertura, in genere, recita: “La Società si obbliga a tenere indenne l’assicurato di quanto questi sia tenuto a pagare, quale civilmente responsabile ai sensi di legge, a titolo di risarcimento (capitale, interessi e spese) di danni involontariamente cagionati a terzi da difetto dei prodotti risultanti in polizza per i quali l’assicurato rivesta in Italia la qualifica di produttore dopo la loro messa in circolazione, per morte, per lesioni personali e per distruzione o deterioramento di cose diverse dai prodotti difettosi descritti in polizza, in conseguenza di un fatto accidentale verificatosi in relazione ai rischi per i quali è stipulata l’assicurazione.”
L’assicurazione, quindi:
– tiene indenne l’assicurato (produttore) quale responsabile civile ai sensi di legge;
-risarcisce esclusivamente danni a terzi, cioè a soggetti diversi dall’assicurato stesso (produttore lett.d), art.3 del D.Lgs.n.206/2005 – Codice del consumo) e dai soggetti non considerati terzi;
-risarcisce solo i danni causati involontariamente dall’assicurato.
Soffermandoci sul concetto “d’involontarietà” la Corte di Cassazione ne approfondisce i gli aspetti (Cass. Civ. Se.II 28 Aprile 2011, n.9455 e Cass. Sez.III, 26 Giugno 2013 n.16108) riconoscendo, ai sensi degli artt.1900 e 1917 c.c., la validità della copertura per colpa e non per dolo, così come previsto dalle norme del codice civile, quindi, attribuendo alla involontarietà il significato di non volontà nel cagionare un danno.
Per quanto concerne le caratteristiche del prodotto difettoso ex art.117 Codice del consumo, l’assicurazione é prestata quando il prodotto non offre la sicurezza che ci si può legittimamente attendere tenuto conto di tutte le circostanze, tra cui: il modo in cui il prodotto è stato messo in circolazione, la sua presentazione, le sue caratteristiche palesi, le istruzioni e le avvertenze fornite; l’uso al quale il prodotto può essere ragionevolmente destinato e i comportamenti che, in relazione ad esso, si possono ragionevolmente prevedere; il tempo in cui il prodotto è stato messo in circolazione; Il vizio materiale di fabbricazione o costruzione in senso stretto o, a monte, il vizio di progettazione che, rendendo insicuro il prodotto, è suscettibile di provocare un danno; l’insicurezza del prodotto che, in occasione del suo uso, provoca un danno a prescindere da un difetto di costruzione che renda la cosa inidonea all’uso: tale insicurezza va valutata in base alle istruzioni che accompagnano il prodotto, all’uso al quale il prodotto può essere ragionevolmente destinato, ai comportamenti che, in relazione ad esso, si possono ragionevolmente prevedere.
La polizza di R.C. prodotti risarcisce i danni corporali a terzi (morte o lesioni corporali) ed i danni materiali diretti a cose diverse dal prodotto difettoso (distruzione o danneggiamento di cose) facendo riferimento all’art.123 del Codice del Consumo.
La copertura assicurativa, in genere, viene estesa, anche, ai danni da interruzione o sospensione di attività, mancato o ritardato inizio di attività industriali, commerciali, artigianali, agricole o di servizi, provocati ai terzi purché conseguenti agli effetti del prodotto difettoso nonché ai danni al prodotto finito derivanti, ad esempio, da uno dei suoi componenti ovvero se causati ad altro componente del prodotto finito stesso, nell’ambito di quanto previsto dall’art.121 del Codice del consumo.
E’ possibile integrare l’assicurazione, anche, per i rischi derivanti dal ritiro e richiamo dei prodotti fabbricati; l’esportazione diretta dei prodotti in USA, Canada e Messico e l’inquinamento accidentale causato dal prodotto difettoso. Una parziale deroga delle esclusioni di copertura che, in genere, concernono: i rischi atomici; i danni da inquinamento dell’aria dell’acqua e del suolo; le responsabilità volontariamente assunte dall’assicurato e non derivantigli dalla legge; le spese di sostituzione o riparazione del prodotto; le spese e oneri per il ritiro dal mercato dei prodotti difettosi o presunti tali; le spese per indagini (non autorizzate) volte ad accertare la causa del sinistro; le intenzionali violazioni di leggi, norme o regole vincolanti ai fini della sicurezza ed i prodotti consegnati in USA, Canada e Messico.
Per quanto concerne la territorialità dell’assicurazione, questa vale per i prodotti consegnati nei territori di qualsiasi Paese e per sinistri ovunque verificatisi ricomprendendo, quindi, qualsiasi forma di esportazione (diretta, occulta o indiretta). Vengono escluse le esportazioni dirette in U.S.A., Canada, Messico e territori sotto la loro giurisdizione, stante i principi in materia di responsabilità vigenti in questi Paesi. Per potere estendere l’assicurazione a questa fattispecie vengono, di norma, convenute condizioni particolari. In particolare, l’applicazione della c.d. “vendor’s liability” con cui vengono assicurate, anche, le persone e le organizzazioni per la propria responsabilità civile derivante, esclusivamente, dalla distribuzione o vendita dei prodotti fabbricati dall’Assicurato (Produttore) e l’esclusione dalla garanzia assicurativa dei c.d. “punitive or exemplary damages” con cui i giudici statunitensi, ad esempio, hanno la facoltà di comminare indennizzi, oltre ai reali danni accertati, a favore dei consumatori danneggiati dai produttori dei beni o servizi, qualora intervengano fatti di particolare gravità nel comportamento del produttore. La funzione della sanzione è quella di costituire, oltre che una punizione per il colpevole, un deterrente per indurre tutti i fornitori di beni e servizi a comportarsi con estrema diligenza e cautela, prima di offrire le proprie prestazioni alla clientela. Ad esempio, nel 1995 venne promulgata una legge negli U.S.A. che limitava a $ 250.000 le sanzioni ovvero per un importo massimo pari a 3 volte il danno effettivo provocato, applicandosi il limite più alto tra i due parametri.
La tipologia di copertura relativa all’inizio ed alla durata della garanzia assicurativa é, di norma, in regime di “claims made” e cioè valida per le richieste di risarcimento presentate in corso di validità della polizza, anche, se il comportamento negligente o colpevole che ha provocato il danno è avvenuto in un periodo precedente la stipula del contratto, ma, in genere, delimitato nel tempo nella polizza (es: 12, 24 mesi prima dell’inizio della copertura – garanzia retroattiva). La garanzia copre, anche, i danni derivanti da fatti che si sono verificati in corso di contratto, ma solo se questi vengono denunciati entro uno specifico termine previsto in polizza, anche se successivo alla sua data di scadenza (cd.garanzia postuma). Non sono coperti invece i sinistri che, pur essendosi verificati in corso di contratto, vengono denunciati oltre detto termine postumo.
Infine, é utile segnalare il fenomeno dei c.d. sinistri in serie per cui si considera come un unico sinistro una pluralità di eventi dannosi che pur potendosi configurare singolarmente come altrettanti sinistri, vengono unificati dalla stessa causa originaria (es.: stesso difetto di un prodotto che causa vari danni) e, quindi, assoggettati ad un unico massimale di copertura affinché lo stesso massimale non sia ripetibile per ogni singolo evento dannoso nell’arco temporale del contratto assicurativo “ in caso di più richieste di risarcimento originate da una stessa causa, la data della prima richiesta, sarà considerata come data di tutte le richieste, anche, se presentate successivamente alla cessazione dell’assicurazione”.