La Cassazione Civile n.31204/2017 ha ripercorso e riaffermato i principi sottesi ai compiti ed alle responsabilità degli amministratori non esecutivi e indipendenti, dei sindaci, dei revisori, del comitato di controllo interno, dell’organismo di vigilanza (ex d.lgs n.231/2001) delle società di capitali e del dirigente preposto alla redazione di documenti contabili societari nelle società quotate (ex art.154-bis, d.lgs. n.58/1998).
In particolar modo, per coloro che svolgono dette funzioni in società bancarie ed assicurative.

Le funzioni e le responsabilità degli amministratori

E’ stato definito un “sistema di controllo policentrico” al fine di ottenere, grazie all’eterogeneità dei controlli, una garanzia rafforzata dell’osservanza delle regole di corretta amministrazione e della diffusione di una cultura della legalità imprenditoriale.
La S.C. ha osservato:
“Ciò tanto più quando l’impresa rivesta peculiare interesse per il mercato, attesa la delicatezza degli interessi implicati nell’attività costituente l’oggetto sociale (come in quelle bancarie ed assicurative); inoltre, la conformazione della struttura societaria induce a particolarmente intensi doveri di controllo, proprio allorché la stessa faccia parte di un cd. gruppo o si tratti di società a ristretta base familiare che detenga la maggioranza del capitale, soggetta ad influenze esterne anche pregiudizievoli.
In tutti i casi, la responsabilità omissiva del soggetto è sempre per fatto proprio colpevole: espunta anche dal diritto civile la responsabilità oggettiva, per fatto altrui o da mera “posizione”, dovendosi sempre riscontrare la condotta almeno colposa e il nesso causale col danno, essendo responsabilità per fatto e colpa propri. … Pur in presenza di deleghe gestorie residua una serie di poteri e doveri in capo al consiglio di amministrazione, che dall’esistenza di deleghe non viene affatto spogliato dalle sue funzioni.
Esso – come espressamente chiarito dalla riforma del diritto societario, ma ampiamente riconosciuto in precedenza dalla prassi medesima – può impartire direttive vincolanti ai delegati ed ha il potere di avocazione, in quanto si è ritenuto che la delega non abbia effetti traslativi (Cass. Civ. n.4787/2005), potendo giungere alla revoca della decisione assunta dal comitato esecutivo o dall’amministratore delegato; soprattutto, sul consiglio grava l’obbligo di vigilanza sull’attività degli amministratori delegati o del comitato esecutivo, spettando ai consiglieri non esecutivi i compiti di supervisione e di ponderazione (si è altresì osservato che sussistono già compiti organizzativi, volti a predisporre o sollecitare un’organizzazione idonea a garantire gli interessi che il consiglio ha l’obbligo di tutelare. (cfr. Cass. pen. n.8260/2007).
Si noti che il controllo degli altri consiglieri sul fatto dei delegati è anche di merito, non potendo essere confuso coi limiti del controllo giudiziale.”.

La responsabilità dell’amministratore non esecutivo, ex art.2381 c.c. permaneva, anche, in caso di attribuzione di funzioni al comitato esecutivo od a singoli amministratori delegati, salvo un impediente “comportamento ostativo degli altri componenti del consiglio di amministrazione” (così Cass. civ. n.319/2013; Cass. civ. n. 22911/2010; Cass. civ. n.11643/2010; Cass. civ. n.20933/2009; Cass. civ. n.3032/2005).
“..Nell’ambito dell’azione di responsabilità promossa nell’interesse dei creditori – che di recente le sezioni unite di questa Corte hanno reputato extracontrattuale (Cass. civ. n.1641/2017) – l’onere di provare la colpa grava sulla procedura; e l’elemento della colpa rileva nelle due accezioni di colpa nella conoscenza e colpa nell’attivazione.
La colpa può consistere, in primo luogo, in un difetto di conoscenza, per non avere rilevato colposamente l’altrui illecita gestione: non è decisivo che nulla traspaia da formali relazioni del comitato esecutivo o degli amministratori delegati, né dalla loro presenza in consiglio, perché l’obbligo di vigilanza impone, ancor prima, la ricerca di adeguate informazioni, non essendo esonerato da responsabilità l’amministratore che abbia accolto il deficit informativo passivamente. Pertanto, si può parlare di colpa in capo all’amministratore nel non rilevare cd. segnali d’allarme, individuabili anche nella soggezione all’altrui «gestione personalistica» (cfr. Cass. pen. n.32352/2014).
Inoltre, il singolo consigliere è tenuto a conoscere i doveri specifici posti dalla legge e ad attivarsi perché il consiglio compia al meglio il proprio dovere di vigilanza per impedire il verificarsi ed il protrarsi della situazione di illecita gestione: l’amministratore non esecutivo non risponde in modo automatico per ogni fatto dannoso aziendale in ragione della mera «posizione di garanzia», perché si esige che abbia esercitato i suoi poteri impeditivi, come le richieste di convocazione del consiglio di amministrazione, i solleciti alla revoca della deliberazione illegittima o all’impugnazione della deliberazione viziata, l’attivazione ai fini all’avocazione dei poteri, gli inviti ai delegati di desistere dall’attività dannosa, la denunzia alla pubblica autorità, con informazione al p.m. ai fini della richiesta ex art.2409 cod. civ. o segnalazione alle autorità di vigilanza, e così via.”.
Come già espresso dalla giurisprudenza di legittimità “.. anche la semplice minaccia di ricorrere ad un’autorità esterna può costituire deterrente, sotto il profilo psicologico, al proseguimento di attività antidoverose da parte dei delegati (Cass. civ. n.22911/2010); mentre la condotta impediente omessa va valutata nel contesto, in quanto l’inerzia del singolo nell’unirsi all’identico atteggiamento omissivo degli altri acquista efficacia causale, posto che la condotta attiva giova a rompere il silenzio e a sollecitare, con il richiamo agli obblighi imposti dalla legge ed ai principi di corretta amministrazione, un analogo atteggiamento degli altri amministratori”. (Cass. pen. n.32352/2014).

Per quanto concerne il profilo della colpa, la S.C. osserva, ancora:
“ a) l’esistenza in società anche dell’organo sindacale non esime dai controlli spettanti al componente del consiglio di amministrazione, per la suddetta concorrenza dei controlli;
b) il dissenso, pur verbalizzato, in sé non è sufficiente ad escludere la responsabilità, in quanto occorre che l’amministratore sia “immune da colpa” (cfr. art. 2392, comma 3, cod. civ.);
c) l’essere stato designato alla carica solo per un breve periodo di tempo, nonché dopo la commissione dell’illecito, non è di per sé esimente da responsabilità, in quanto l’accettazione della carica comporta comunque l’assunzione dei doveri di vigilanza e di controllo, e tutto quindi dipende dall’accertamento fattuale da compiere nel singolo caso; né la responsabilità dell’amministratore di società di capitali per il ritardo nell’adozione delle misure necessarie viene meno ove il fatto sia imputabile al precedente amministratore, una volta che, assunto l’incarico, fosse esigibile lo sforzo diligente di verificare la situazione e porvi rimedio (come correttamente rileva Cass. pen. 29 ottobre 2015, n.4791/16, dep. 5 febbraio 2016, in tema di bancarotta semplice); e, quando il soggetto sia da poco in carica, occorre a tal fine l’accertamento, in punto di fatto, che l’incarico sia stato assunto da troppo breve tempo per poter ragionevolmente supporre che il soggetto di nuova nomina potesse rendersi conto della situazione e fosse in grado d’intervenire con utili strumenti correttivi;
d) le dimissioni non costituiscono condotta di adempimento del dovere, per la pregnanza degli obblighi assunti dai consiglieri proprio nell’ambito della vigilanza sull’operato altrui e perché la diligenza impone piuttosto un comportamento alternativo, equivalendo allora le dimissioni ad una sostanziale inerzia;
e) la fiducia riposta nella condotta del delegato, che si sia rivelata pregiudizievole, può esimere da responsabilità l’amministratore non esecutivo non se questi rimanga indifferente o inerte nel rilevare una situazione di reiterata illegalità, ma solo quando egli ragionevolmente continui a riconoscere fiducia, per quanto mal riposta, verso le capacità gestionali di altri (cfr., condivisibilmente, Cass. pen. 15 luglio 2016 n. 30333), secondo l’accertamento di fatto del giudice del merito.”.
“..Quanto all’avere rivestito la carica in periodi non coincidenti con la condotta dannosa posta in essere dagli amministratori delegati, occorre solo richiamare quanto sopra esposto in punto di diritto circa la non decisività della circostanza dell’assunzione della carica dopo la commissione della condotta altrui o delle dimissioni al fine dell’esonero da responsabilità, allorché possa comunque muoversi il rimprovero di non avere operato e non essersi attivati per ridurre o eliminare le conseguenze dannose, riconducendo alla legalità l’operato gestorio;..”.

Le funzioni e le responsabilità dei Sindaci

Quanto osservato in relazione alla responsabilità degli amministratori delle società è estensibile, in larga parte, alle responsabilità dei Sindaci, con alcune specifiche considerazioni.
La S.C. ha affermato: “Il sistema configura una duplice responsabilità dei sindaci, potendo essi rispondere per fatto esclusivamente proprio oppure per concorso omissivo al dovere di controllo sugli amministratori, atteggiandosi la loro responsabilità nei confronti della società o di altri soggetti secondo le relative disposizioni, pure per essi richiamate, degli artt. 2393 e 2394 cod. civ., alla stregua dell’art.2407 cod. civ., all’epoca vigente.
Si è più volte affermato come, dovendo il comportamento dei sindaci ispirarsi al dovere di diligenza proprio del mandatario (secondo la formulazione dell’art.2407, comma l, cod. civ., vigente al tempo dei fatti di causa) ed essere improntato al principio di correttezza e buona fede, esso non può esaurirsi nel solo espletamento delle attività specificamente indicate dalla legge, ma comporta l’obbligo di adottare ogni altro atto che sia necessario per l’assolvimento dell’incarico, come la segnalazione all’assemblea delle irregolarità di gestione riscontrate e financo, ove ne ricorrano gli estremi, la denuncia al pubblico ministero per consentirgli di provvedere ai sensi dell’art.2409 cod. civ. (Cass. civ. n.22911/2010; Cass. civ. n.9252/1997, posto che ante riforma non era prevista la legittimazione attiva della denunzia al tribunale per l’organo di controllo). Ad affermarne la responsabilità è sufficiente l’inosservanza del dovere di vigilanza, allorché non abbiano rilevato una macroscopica violazione o comunque non abbiano in alcun modo reagito di fronte ad atti di dubbia legittimità e regolarità (cfr. Cass. civ. n.13517/2014; v. pure Cass. civ. n.13518/2014; Cass. civ. n.23233/2013).
Già prima della riforma del diritto societario, si reputava dunque che i doveri di controllo imposti ai sindaci ex artt. 2403 ss. cod. civ. fossero di particolare ampiezza, estendendosi a tutta l’attività sociale, con funzione di tutela non solo dell’interesse dei soci, ma anche di quello, concorrente, dei creditori sociali, né riguardando solo il mero e formale controllo sulla documentazione messa a disposizione dagli amministratori, essendo loro conferito il potere-dovere di chiedere notizie sull’andamento generale e su specifiche operazioni, quando queste potessero suscitare perplessità, per le modalità delle loro scelte o della loro esecuzione (Cass. civ. n.2772/1999; Cass. civ. n.5287/1998).
Compito essenziale dei sindaci è vigilare sul rispetto dei principi di corretta amministrazione, che la riforma ha esplicitato e che in precedenza poteva ricondursi all’obbligo di vigilare sul rispetto della legge e dell’atto costitutivo, secondo la diligenza professionale ex art.1176 cod. civ.: dovere del collegio sindacale non è quello di valutare l’opportunità della scelta gestoria, ma di verificare che gli amministratori compiano la medesima nel rispetto di tutte le regole che disciplinano il corretto procedimento decisionale, nelle concrete circostanze.
A fronte di iniziative anomale da parte dell’organo amministrativo di società per azioni, i sindaci hanno dunque l’obbligo di porre in essere, con tempestività, tutti gli atti necessari all’assolvimento dell’incarico con diligenza, correttezza e buona fede, attivando ogni loro potere (se non di intervento sulla gestione, che non compete se non in casi eccezionali, certamente) di sollecitazione e denuncia doverosi per un organo di controllo.
Solo un più penetrante controllo, fatto di attività informative e valutative, può dare concreto contenuto all’obbligo di tutela degli essenziali affidati al collegio sindacale, cui non è consentito di rimanere acriticamente legato e dipendente dalle scelte dell’amministratore, quando queste collidano con i doveri imposti dalla legge, al contrario dovendo il primo individuarle e segnalarle ad amministratori e soci, non potendo assistere nell’inerzia alle altrui condotte dannose: senza neppure potersi limitare alla richiesta di chiarimenti all’organo gestorio, ma dovendosi spingere a pretendere dal medesimo le cd. azioni correttive necessarie.
In mancanza, essi concorrono nell’illecito civile commesso dagli amministratori della società per omesso esercizio dei poteri-doveri di controllo loro attribuiti dalla legge.”.