L’autorizzazione al commercio di prodotti, nel caso specifico, farmaceutici, non vale di per sé ad escludere la responsabilità civile del produttore (ex art.39 d.lgs.n.219/2006 recante attuazione della Direttiva 2001/83/CE e successive Direttive di modifica) concernente i medicinali per uso umano, nonché della Direttiva 2003/94/CE: “l’autorizzazione non esclude la responsabilità anche penale del produttore e del titolare …”.
I requisiti pubblicistici valgono solo per realizzare un minimo di garanzia per il consumatore (v. Corte Giust., 29/5/1997, C-300/95) e si deve considerare, per altro verso, che la valutazione di pericolosità non attiene ai meri dati scientifici, ma coinvolge anche la percezione e le aspettative dei consumatori ( v. Corte Giust., 11/4/2001, C- 477/00; Corte Giust., 28/10/1992, C-219/91 ). Per escludere la responsabilità del produttore di farmaci non è sufficiente la mera prova dello “stato dell’arte” e nemmeno la mera prova di aver fornito tramite il foglietto illustrativo (c.d.”bugiardino”) un’informazione che si sostanzi in una mera avvertenza generica circa la non sicurezza del prodotto (Cass. civ. n.6007/2007), essendo necessaria un’avvertenza idonea a consentire al consumatore di acquisire non già una generica consapevolezza in ordine al possibile verificarsi dell’indicato pericolo in conseguenza dell’utilizzazione del prodotto bensì di effettuare una corretta valutazione (in considerazione delle peculiari condizioni personali, della particolarità e gravità della patologia nonché del tipo di rimedi esistenti) dei rischi e dei benefici al riguardo, nonché di adottare tutte le necessarie precauzioni volte ad evitare l’insorgenza del danno, pertanto di volontariamente e consapevolmente esporsi al rischio ( con eventuale suo concorso di colpa ex art. 1227 c.c. in caso di relativa sottovalutazione o di abuso del farmaco ).
Queste le osservazioni della Corte di Cassazione civile n.12225/2021.
La Suprema Corte, inoltre, in tema di prodotto “difettoso” ne ha ripercorso i tratti e le caratteristiche, cosi come già posto in rilievo da Cass. civ. n.29828/2018, in relazione all’art.117 del Codice del Consumo.
Viene definito “difettoso” non già ogni prodotto insicuro bensì quel prodotto che non offra la sicurezza che ci si può legittimamente attendere in relazione al modo in cui il prodotto è stato messo in circolazione, alla sua presentazione, alle sue caratteristiche palesi alle istruzioni o alle avvertenze fornite, all’uso per il quale il prodotto può essere ragionevolmente destinato, ai comportamenti che in relazione ad esso si possono ragionevolmente prevedere, al tempo in cui il prodotto è stato messo in circolazione.
Si è al riguardo precisato che il concetto di difetto è sostanzialmente riconducibile al difetto di fabbricazione, ovvero alle ipotesi dell’assenza o carenza di istruzioni, ed è strettamente connesso al concetto di sicurezza.

Pertanto, tali aspetti non sono da confondere con la nozione di “vizio” di cui all’art.1490 c.c., in base al quale può trattarsi di un’imperfezione del bene che può anche non comportare un’insicurezza del prodotto, né a quella di difetto di conformità introdotto dalla disciplina sulla vendita dei beni di consumo, postulando invero un pericolo per il soggetto che fa un uso del prodotto o per coloro che, comunque, si trovano in contatto con esso ( v. Cass. civ. n.13458/2013).
Il legislatore ha, inoltre, precisato che il prodotto non può essere considerato difettoso per il solo fatto che un prodotto più perfezionato sia stato in qualunque tempo messo in commercio; e che il prodotto è difettoso se non offre la sicurezza offerta normalmente dagli altri esemplari della medesima serie.
Il parametro integrativo di riferimento della nozione di prodotto “sicuro”, di cui all’art.103 cod. cons., che indica il livello di sicurezza prescritto, al di sotto del quale il prodotto deve considerarsi difettoso, non corrisponde a quello della sua più rigorosa innocuità, dovendo farsi riferimento ai requisiti di sicurezza dall’utenza generalmente richiesti in relazione alle circostanze specificamente indicate all’art.117 del Codice del consumo o ad altri elementi in concreto valutabili e concretamente valutati dal giudice di merito, nell’ambito dei quali debbono farsi rientrare gli standards di sicurezza eventualmente imposti dalle norme in materia (Cass. civ. n.29828/2018; Cass. civ. n.13458/2013 ).
Il verificarsi di un danno di per sé non caratterizza la pericolosità del prodotto in condizioni normali di impiego, ma solo una sua più indefinita pericolosità, insufficiente a fondare la responsabilità del produttore laddove non venga in concreto accertato che la stessa pone il prodotto al di sotto del livello di garanzia e di affidabilità richiesto dalle leggi in materia o dall’utenza (Cass. civ. n.25116/2010).
Infine, per quanto concerne l’onere della prova, l’art.120 cod. cons. prevede che il danneggiato deve provare il danno, il difetto e la connessione causale tra difetto e danno; mentre il produttore deve provare i fatti che possono escludere la responsabilità ex art.118 cod. cons..
Spetta, quindi, al danneggiato dimostrare che il prodotto ha evidenziato il difetto durante l’uso, che ha subito un danno e che quest’ultimo deriva dal difetto. Dopo tale prova, il produttore ha l’onere di fornire la prova liberatoria, consistente nella dimostrazione che il difetto non esisteva quando ha posto il prodotto in circolazione o che all’epoca non era riconoscibile in base allo stato delle conoscenze tecnico-scientifiche (Cass. civ. n.13458/2013 ).
La responsabilità da prodotto difettoso integra, pertanto, un’ipotesi di responsabilità presunta ( e non già oggettiva ), incombendo sul danneggiato che chiede il risarcimento di provare gli elementi costitutivi del diritto, in particolare dell’esistenza del “difetto” del prodotto e del collegamento causale tra difetto e danno. La prova della difettosità del prodotto può essere, peraltro, fornita anche per semplici presunzioni.