La Corte di Cassazione civile n.28626/2019 ha enunciato il seguente principio di diritto: “la responsabilità per esercizio di attività pericolosa ex art.2050 cod. civ., che ben può prescindere dall’attività in sé e per sé considerata e sussistere quando il pericolo si sia materializzato e trasfuso negli oggetti dell’attività medesima (ad es.esplodenti, prima dell’applicabilità del d.lgs.19 maggio 2016, n.81), non si configura anche in danno del produttore e del distributore di quelli ed a favore di chi professionalmente interviene in una fase autonoma di un ciclo produttivo che li impieghi quali materie prime ed assume così in proprio oneri di precauzione adeguati allo sviluppo di quello, quando non provi, impregiudicati diversi titoli di responsabilità da prodotto difettoso o di vizi della cosa venduta, il nesso causale tra l’esercizio della fase specifica dell’attività pericolosa gestita dalle controparti ed il danno da lui patito”.

Il fatto s’incentrava sulla riconducibilità o meno dell’esplosione o dell’incendio, a causa della nitrocellulosa prodotta da un’azienda e distribuita da un’altra, ma stoccata nello stabilimento di altro imprenditore che la utilizzava nel ciclo produttivo della sua propria impresa. L’impossibilità di ricostruire la causa dell’incendio, rimasta ignota, non consentiva al danneggiato di provare il nesso eziologico tra l’attività pericolosa e l’evento dannoso, pertanto veniva esclusa la responsabilità prevista dall’art.2050 cod. civ..

La responsabilità dell’esercente un’attività pericolosa presuppone che si accerti un nesso di causalità tra l’attività svolta e il danno patito dal terzo, per una duplice condizione:

– che l’attività costituisca un antecedente necessario dell’evento, e che non sia neutralizzato, sul piano eziologico, da un fatto attribuibile ad un terzo o allo stesso danneggiato;

– che la presunzione di colpa a carico del danneggiante nell’esercizio di attività pericolose (art.2050 cod. civ.), presuppone la sussistenza del nesso eziologico tra l’esercizio dell’attività e l’evento dannoso, la cui prova è a carico del danneggiato, sicché va esclusa ove sia ignota o incerta la causa dell’evento dannoso.

“..Nell’ipotesi di danno cagionato nello svolgimento di un’attività pericolosa spetta all’attore (danneggiato) fornire la dimostrazione del nesso di causalità fra l’esercizio di quell’attività e l’evento dannoso e quindi la prova positiva della sussistenza dello specifico fattore eziologico idoneo a determinare il danno, sebbene non la prova negativa dell’insussistenza di qualsiasi altro fatto doloso o colposo ascrivibile a terzi estranei”.

Sebbene il pericolo si possa materializzare e trasfondere negli oggetti dell’attività medesima (ad es., materie infiammabili, proiettili di arma da fuoco, gas in bombole, ecc.), che per un’imperfetta costruzione, a livello progettuale o di confezione, conservino un’intrinseca potenzialità lesiva, il danno ne deve dipendere. Qualora, tra le fasi successive di un medesimo processo produttivo che coinvolga materiale pericoloso, ognuna gestita professionalmente con singole responsabilità ed almeno finché questo non sia esaurito con la sua immissione sul mercato, la dipendenza e la conseguente responsabilità oggettiva ai sensi dell’art.2050 cod. civ., va però esclusa.

La S.C. ha affermato che “.. il rischio di impresa di chi produce e distribuisce nitrocellulosa destinata ad ulteriore lavorazione non può comprendere, di norma e comunque ai fini della fattispecie rigorosissima di cui all’art.2050 cod. civ. tra gli imprenditori che le gestiscono, …. le fasi di ulteriore lavorazione: le quali non sono di per sé esercizio dell’attività pericolosa originaria e di queste successive avendo la responsabilità ………….. l’imprenditore od altro soggetto professionale che le gestisca in autonomia e con correlativi oneri di adozione di misure di precauzione adeguate al ciclo di lavorazione che impieghi il prodotto intrinsecamente pericoloso.”.

Pertanto, sarebbe stato onere del danneggiato (imprenditore coinvolto nel ciclo di produzione) provare il nesso di causalità del danno “.. non già con la mera presenza in loco della merce pericolosa, ma con l’attività pericolosa esercitata dalle controparti e, segnatamente, con una specifica fase della produzione o della distribuzione di quella stessa merce a loro ascrivibile: insomma, pur essendo indubbie la presenza e la pericolosità, evidentemente queste non dipendono più direttamente dalla fase di quell’attività gestita dalle controparti, bensì, al contrario, da quella gestita dalla stessa danneggiata”.