Tre, i principi di diritto enunciati da Cass. civ. n.21832/2021 in tema di diritto di privativa nella proprietà industriale, per quanto concerne: il risarcimento del danno, la retroversione e l’onere della prova.
Il primo, «In tema di proprietà industriale, il titolare del diritto di privativa che lamenti la sua violazione ha facoltà di chiedere, in luogo del risarcimento del danno da lucro cessante, la restituzione (c.d.”retroversione”) degli utili realizzati dall’autore dell’illecito, con domanda proposta ai sensi dell’art.125, c.p.i. (codice della proprietà industriale), senza che sia necessario allegare specificamente e dimostrare che, agli utili realizzati dal contraffattore, sia corrisposto un mancato guadagno da parte sua»;
il secondo:
« In tema di proprietà industriale, il titolare del diritto di privativa che lamenti la sua violazione ha facoltà di chiedere, in luogo del risarcimento del danno da lucro cessante, la restituzione (c.d. “retroversione”) degli utili realizzati dall’autore della violazione, con apposita domanda ai sensi dell’art.125, c.p.i., senza che sia necessario allegare specificamente e dimostrare che l’autore della violazione abbia agito con colpa o con dolo.»;
il terzo:
«In tema di proprietà industriale, l’onere della prova circa la sussistenza della contraffazione di un diritto in privativa, ai sensi dell’art.121, comma 1, c.p.i., grava sul titolare del diritto violato, salva l’eccezione prevista dall’art.67 c.p.i. in tema di contraffazione di brevetti di procedimento; tale regola di giudizio vale anche per tutta l’estensione quantitativa e temporale della violazione, e non soffre deroga ove si discuta del momento di cessazione delle attività contraffattive, dopo che il titolare del diritto abbia fornito la prova del loro inizio da parte dell’autore della violazione; a tal fine il titolare del diritto può avvalersi di tutti gli strumenti probatori e cautelari disciplinati dagli artt.121, 121 bis e 129 c.p.i. e ricorrere altresì alla prova indiziaria e presuntiva.»
Dall’articolata e dettagliata dissertazione della S.C. sull’argomento, i problemi giuridici affrontati sono da rintracciarsi, da una parte, nel rapporto dell’istituto della retroversione degli utili con il risarcimento del danno da lucro cessante e dal presupposto psicologico del contraffattore (come ne caso in esame), dall’altra, gli aspetti attinenti l’onere della prova per il danno occorso.
Come accennato, l’art.125 c.p.i. contiene una serie di regole specifiche in tema di risarcimento del danno conseguente alla violazione dei diritti di proprietà industriale e richiama in linea generale la disciplina civilistica del risarcimento del danno aquiliano, ossia gli artt.1223, 1226 e 1227 cod.civ., vale a dire le identiche norme oggetto del rinvio contenuto nell’art.2056 cod.civ.
Osserva la S.C. che “L’art.1223 cod.civ. include nel risarcimento del danno la perdita subita (ossia il danno emergente) e il mancato guadagno (lucro cessante) che ne siano conseguenza immediata e diretta; di conseguenza chi agisce per il risarcimento dei danni deve allegare e provare il nesso di causalità tra il comportamento illecito e il pregiudizio subito, secondo le regole della causalità giuridica e materiale ex artt.1223 cod.civ e 41 cod.pen; l’art.1226 consente la liquidazione con valutazione equitativa del danno che non può essere provato nel suo preciso ammontare; l’art.1227 cod.civ. prevede la diminuzione del risarcimento per il danno che il fatto colposo del titolare del diritto ha concorso a cagionare e l’esclusione del risarcimento per i danni che il titolare del diritto avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza. È stato osservato che il risarcimento nel campo della proprietà industriale mira al ripristino di corrette condizioni di svolgimento della concorrenza in un mercato caratterizzato dall’esistenza di privative; in questa logica il danno risarcibile si avvicina al danno concorrenziale, provocato dall’alterazione dei fattori di mercato conseguente all’illecito e che giustifica l’irrogazione dell’inibitoria, anche in assenza di un danno economico attuale per il titolare del diritto violato, ma se ne distingue perché ai fini del compimento dell’illecito concorrenziale basta l’astratta potenzialità dannosa, mentre ai fini risarcitori è richiesta un’alterazione attuale ed effettiva di questi fattori.”.
A tal proposito, Cass. civ. n.4048/2016 ha ricordato che in materia di risarcimento del danno cagionato da una violazione di una privativa industriale, il nuovo art.125, comma 3, c.p.i., ha attribuito valenza autonoma alla cosiddetta retroversione degli utili, che possono essere richiesti in alternativa al risarcimento del lucro cessante o nella misura in cui essi eccedono tale risarcimento e che, in ogni caso, gli utili tratti dal contraffattore devono essere considerati come uno dei parametri di riferimento, applicabili in via equitativa dal giudice, per quantificare il lucro cessante.
Il lucro cessante si rapporta, quindi, alla differenza fra i flussi di vendita (e di conseguenza agli utili) che il titolare del diritto avrebbe registrato senza la contraffazione e quelli che si sono effettivamente realizzati.
Sul tema, inoltre, Cass. civ. n.13025/2014 ha affermato che il danno cagionato all’impresa titolare del marchio contraffatto non consiste necessariamente in una riduzione delle vendite o in un calo del fatturato rispetto al periodo precedentemente considerato, potendo esso manifestarsi anche solo in una riduzione del potenziale di vendita e, quindi, in una minore crescita delle vendite, senza che si abbia una corrispondente riduzione rispetto agli anni precedenti.

Ora, per quanto attinente la prova del danno, l’art.1226 cod.civ. ne consente la liquidazione equitativa non suscettibile di prova nel suo preciso ammontare. Una situazione ravvisabile, in caso di violazione di un diritto di proprietà industriale che può avere difficoltà probatorie, come ricordato da Cass. civ. n.12812/2016 , per cui il danno da contraffazione deve pur sempre essere dimostrato, anche presuntivamente, nella sua ontologica esistenza e non solo determinato nella sua entità. Il comma 2 dell’art.125 c.p.i. attribuisce, infatti, un’ulteriore agevolazione probatoria al titolare del diritto violato rispetto all’ordinaria liquidazione equitativa, ammettendo che la stessa possa avvenire in una «somma globale» stabilita in base agli elementi acquisiti e alle presunzioni da essi ricavabili per provvedere ad una liquidazione forfettaria.
Due, pertanto, le distinte tecniche liquidatorie: quella «analitica», disaggregata in singole voci e quella alternativa «forfettaria», basata sull’attribuzione di una somma globale onnicomprensiva.
“La legge prevede che nella tecnica forfettaria il danno da lucro cessante possa essere determinato anche con riferimento al «giusto prezzo del consenso», individuato in una somma non inferiore all’equa royalty, ossia al canone che l’autore della violazione avrebbe dovuto corrispondere in base ad una ipotetica licenza concessagli dal titolare del diritto”, utilizzando il criterio costituito dal margine di utile del titolare del brevetto applicato al fatturato dei prodotti contraffatti, realizzato dal contraffattore, di cui all’art.125 c.p.i., alla luce del quale il danno va liquidato sempre tenendo conto degli utili realizzati in violazione del diritto, vale a dire considerando il margine di profitto conseguito, deducendo i costi sostenuti dal ricavo totale.
I profili più problematici nel campo del risarcimento del danno attengono l’istituto della retroversione degli utili (ovvero «riversione» o «reversione»; «restituzione»).
Il terzo comma dell’art.125 c.p.i., infatti, prevede che «in ogni caso» il titolare del diritto leso possa chiedere la restituzione degli utili realizzati dall’autore della violazione, in alternativa al risarcimento del lucro cessante.
La norma è inequivocabile, sia nel circoscrivere la forma di ristoro al pregiudizio da lucro cessante, ossia ai mancati guadagni cumulabili con il risarcimento del danno emergente, sia nella richiesta della retroversione degli utili realizzati dal contraffattore nella misura in cui essi superino il risarcimento del lucro cessante.
Il titolare del diritto, quindi, può chiedere la restituzione di benefici che egli non avrebbe ricevuto anche se la violazione non vi fosse stata (ad esempio: perché, essendo meno attrezzato, meno efficiente o meno dimensionato rispetto allo sleale e illegittimo competitore, non avrebbe avuto la capacità di operare nello stesso modo sul mercato).
Caso analogo, in materia di “brevetti” in cui la titolarità del diritto di proprietà industriale può essere svincolata dallo svolgimento di una attività di impresa e cioè quando l’inventore titolare lamenti la violazione, da parte di un imprenditore, di una privativa che egli non ha ancora provveduto a realizzare o a far realizzare industrialmente.